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L’impatto del coronavirus sulla situazione politica spagnola

Ecco come quest’emergenza ha aumentato le tensioni tra i partiti in Spagna, che ha ormai superato l’Italia per numero di casi totali.

di Luca Magrone

Il 28 aprile il premier spagnolo Pedro Sánchez aveva presentato il piano per un ritorno graduale alla normalità. La strategia elaborata dal governo prevedeva, dopo l’iniziale chiusura totale, quattro fasi (numerate da 0 a 3) che avrebbero portato ad una progressiva riapertura per la fine di giugno.

Tuttavia, non era previsto un avanzamento uguale per tutto il territorio nazionale, ma il passaggio da una fase all’altra dipendeva dallo stato dell’emergenza all’interno delle singole comunità autonome. Proprio per questo motivo era stato negato alla Comunità di Madrid l’ingresso nella fase uno: del resto, come aveva poi ammesso la stessa Isabel Díaz Ayuso (Presidente della Comunità di Madrid), la volontà di procedere verso maggiori riaperture era frutto di esigenze economiche e non dipendeva da un effettivo miglioramento dell’emergenza sanitaria. Infatti, proprio la comunità madrilena è risultata tra le più colpite in Spagna con 66.338 casi e 8.847 decessi su un totale nazionale di 231.350 casi totali e 27.650 decessi (dati ufficiali del 17 maggio).

Coronavirus in Spagna: casi per comunità autonoma al 17 maggio

Fonte: Ministerio de Sanidad, Consumo y Bienestar Social

 

Coronavirus in Spagna: decessi per comunità autonoma al 17 maggio

Mappa: El País

 

Ed è proprio relativamente alla Presidente della Comunità di Madrid che il dibattito politico si è infuocato: le polemiche più recenti derivano dalla lussuosa – e costosissima – suite dove Ayuso (positiva al COVID-19) ha trascorso il suo isolamento. Ayuso ha poi dichiarato che avrebbe provveduto personalmente ai costi ed in suo aiuto è giunto anche Pablo Casado, presidente del suo partito (il PP): il leader dei popolari ha lodato la gestione madrilena dell’emergenza, innalzandola ad esempio per l’intera Spagna.

Tuttavia, non è stata di certo questa l’unica critica avanzata. Innanzitutto, la gestione centralizzata della crisi non piace al presidente della Catalogna: Quim Torra avrebbe preferito lasciare il potere decisionale sulla sanità ancora in mano alle regioni e non al governo, com’è invece accaduto dopo la dichiarazione dello stato di allarme. E mentre dal Partito Popolare sono arrivate le accuse di una pianificazione “senza certezze”, anche sui principali media sono stati sollevati numerosi dubbi.

 Il 7 aprile El País aveva scritto di alcune incongruenze nel calcolo dei decessi nella comunità di Madrid, che sarebbero di più rispetto ai dati diffusi dal governo. Allo stesso modo, era stato messo in dubbio il numero, fornito dalle autorità, delle vittime in tutta la Spagna. Inoltre, in un articolo tradotto e pubblicato su La Stampa, Juan Luis Cebrián aveva criticato la gestione del governo, reo di impedire ai giornalisti un contraddittorio efficace durante le conferenze stampa e, soprattutto, colpevole di aver reagito con lentezza rispetto all’esecutivo italiano.

D’altronde, il premier italiano Giuseppe Conte aveva già provveduto a mostrare una certa popolarità in Spagna con un’intervista (rilanciata sui social) all’emittente spagnola “La Sexta”. Non si può dire lo stesso, invece, di Sánchez: secondo il barometro di aprile firmato da GAD3 è stato l’unico leader europeo a perdere gradimento passando dal 35% al 23%.

A questo punto occorre chiedersi se questo momento negativo di Sánchez abbia portato anche ad un calo delle intenzioni di voto per i socialisti: a tal fine, diamo un’occhiata ai sondaggi.

Spagna, le intenzioni di voto a maggio

Le ultime rilevazioni vedono ancora in testa il PSOE di Sánchez con il 27,8% dei consensi. A seguire ci sono i popolari di Casado al 24,1%, poi l’ultraderecha di Vox con il 14%, Unidas Podemos (11,4%) e Ciudadanos (7,5%). Da questi numeri potremmo quindi credere che la situazione sia priva di grossi cambiamenti, ma non è così.

Difatti, sia nel confronto con le elezioni di novembre che con le rilevazioni di marzo, possiamo notare una netta ripresa del Partido Popular, che cresce del 3,2% rispetto all’ultima tornata elettorale. A confermare l’avvenuta crescita nell’ultimo mese giunge la media dei sondaggi di marzo: qui il PP si attestava al 20,7%, mentre ad oggi, con il 24,1%, confermerebbe un saldo positivo di 3,4 punti percentuali ottenuti dall’inizio della crisi. Si tratta di un dato molto importante perché sta a significare un potenziale aumento dei seggi, e fornisce quindi ulteriore potere di negoziazione agli indipendentisti da cui il governo Sánchez è costretto a dipendere.

In questo scenario, almeno sul piano del consenso, a perderci non sono tanto i socialisti (+0,4% rispetto a marzo e -0,2% sulle elezioni di novembre), quanto Vox e Unidas Podemos. Infatti, accanto alla crescita dei popolari, osserviamo l’ultraderecha spagnola lasciarsi alle spalle poco più di un punto percentuale rispetto a novembre e ben il 2,4% sul dato di marzo. Perdono terreno anche gli alleati del PSOE: Unidas Podemos – che a marzo aveva recuperato consensi rispetto all’ultima tornata elettorale – arretra del 2,3% rispetto alle rilevazioni di inizio crisi.

Infine, il fronte Ciudadanos: dopo la rovinosa debacle alle elezioni di novembre, lo storico leader Albert Rivera ha lasciato la politica e Inés Arrimadas ha preso il suo posto. Oggi sembrano giungere i primi dati positivi: infatti, Ciudadanos torna di nuovo a crescere, con un balzo in avanti dello 0,9% rispetto ai numeri di marzo e dello 0,7% sulle ultime elezioni.

 

Spagna, le intenzioni di voto di maggio confrontate con le elezioni dello scorso novembre

Spagna, le intenzioni di voto di maggio confrontate con quelle di marzo

 

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