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L’esecuzione integrale dei Quartetti per archi di Ludwig van Beethoven

Il sogno si è fatto realtà. Il nuovo auditorium lo Squero della Fondazione Cini nell’isola di san Giorgio maggiore è stato felicemente inaugurato dal Quartetto di Venezia. Al via dunque il progetto di eseguire interamente il repertorio per quartetto d’archi di Ludwig van Beethoven (Bonn 1770 – Vienna 1827), un ciclo di sei concerti a cadenza mensile, che si concluderà il 19 novembre, vista la pausa estiva nei mesi di luglio ed agosto. 

Racconta il violoncellista Angelo Zanin come in prima istanza ci fosse l’idea di suonare nella sala degli Arazzi. “Ma quando il professor Gagliardi (il segretario generale della Fondazione) ci ha fatto vedere il progetto, all’epoca come modellino di legno, e poi ci ha mostrato lo Squero ancora in via di ristrutturazione, abbiamo immediatamente deciso di aspettare la fine dei lavori e di inaugurare la nuova sala”. 

Ottima l’idea di iniziare alle cinque del pomeriggio. Ciò permette allo spettatore di vedere attraverso le vetrate la città e la laguna, con la sensazione di essere immerso nell’acqua in stretto contatto con i musicisti. La luce poi, essendo collegata ai riflessi dell’acqua, cambia di minuto in minuto, coinvolgendo emotivamente sia gli esecutori, che il pubblico. C’è ancora qualcosa da migliorare riguardo la visibilità. Le sedie cosiddette “da regista” e i musicisti allo stesso livello della platea non consentono una buona visibilità. Chi di dovere, comunque, sta già pensando a come ovviare all’inconveniente, motivo per il quale si spera in un perfezionamento non così lontano nel tempo. “L’acustica poi è molto buona – continua Zanin – e pur essendo abbondante e generosa non è confusa, ma fa arrivare i suoni in maniera nitida e coinvolgente”. Se n’è avuta conferma ascoltando il terzo ed ultimo Quartetto del pomeriggio (in La minore, op.132), nel quale le note tonalmente più basse del violoncello nel primo movimento, si sentivano distintamente, anche se gli altri archi stavano suonando insieme ad alto volume.

La piacevole conversazione con Angelo Zanin alla fine dell’esibizione, mi ha consentito di apprendere come sui 17 concerti per archi di Beethoven si siano scritti libri, saggi e tesi di laurea. Il maestro dei musicisti del quartetto Sandor Vegh (1912-1997), violinista ungherese naturalizzato francese, li definiva “la Bibbia del Quartetto” per sottolinearne l’importanza. “Sono opere enormi, che ricoprono tutta la vita del compositore, ed è abbastanza strano che verso la fine Beethoven abbia composto musica solo per quartetto (le opere 127, 130, 131, 132, 133 “la Grande Fuga” e 135) e non per esempio per pianoforte oppure per orchestra. Con questa musica, che è anche un trattato di filosofia, Beethoven riesce a raggiungere i livelli più alti della sua arte”. La stessa cosa si potrebbe dire per il Quartetto di Venezia, che attraverso un lavoro di coesione costante e quotidiano ha trovato il suo suono particolare, riconoscibile al primo ascolto. “Oggi questa essenziale caratteristica va un po’ perdendosi, dato che anche nella musica c’è una globalizzazione generale. Per ottenere questo tipo di suono bisogna che ciascuno dei quattro possa eseguire una nota usando la stessa intensità, lo stesso colpo d’arco, la stessa misura d’arco, la stessa intonazione, lo stesso vibrato”.

Il pomeriggio si è aperto con l’esecuzione di due dei sei Quartetti dell’opera 18, composti tra il 1797 e il 1800 : il n°3 in Re maggiore, il primo in ordine cronologico e il n°1 in Fa maggiore, nel quale Beethoven espone la sua idea di forma sonata e di elaborazione motivica, consapevole di aver compiuto il passo decisivo verso la sua consacrazione come compositore a Vienna, a quel tempo la capitale della musica. Applausi nutritissimi e gioia nei volti dei protagonisti per essere riusciti a coronare un sogno. “Questo è stato davvero un progetto sognato, sospirato, desiderato. Per un quartetto l’integrale beethoveniana è un vanto e motivo di orgoglio, oltre che una grande dimostrazione di preparazione e di qualità. Pur avendo suonato sempre Beethoven già dai primi concerti, non abbiamo mai avuto la possibilità di eseguirli tutti assieme. Se si pensa che l’opera completa era stata eseguita a Venezia nei lontani anni Settanta in un’integrale portata a termine da due Quartetti (Il Julliard e l’Italiano) c’è la percezione di un evento straordinario. Per noi poi, cresciuti al Conservatorio della nostra città, che da ragazzi andavamo ai concerti di questi grandi nomi e poi a comprarci i dischi appena uscivano, riuscire a fare tutto questo è veramente straordinario, un sogno diventato realtà”. Il Quartetto di Venezia ha suonato per più di 35 anni in tutto il mondo. E’ composto dagli stessi musicisti dell’esordio – Andrea Vio e Alberto Battiston al violino, Angelo Zanin al violoncello – con la sola eccezione di Giancarlo di Vacri alla viola, che ha sostituito nell’agosto del 2010 Luca Morassutti.

Nel secondo appuntamento, sabato 21, l’ensemble eseguirà il secondo dei tre Quartetti “Rasumovsky”che compongono l’opera 59, considerata tra le cose più difficili tecnicamente, il Quartetto in La maggiore n°5 dell’opera 18 e la “Grande Fuga”, op. 133, che originalmente concludeva il Quartetto in Si bemolle maggiore op.130 e che è ancor oggi uno dei brani più difficili ed ostici per le formazioni concertistiche.

              

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