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L’odio nutre più del pane. Da Kabul a Pordenone

Sei militari italiani e 20 civili afgani morti su una strada di Kabul, una diciottenne marocchina, Sanaa, sgozzata dal padre nei pressi di Pordenone e un’altra giovanissima pakistana, Hina, anche lei ammazzata, come si ricorderà 3 anni fa dal padre con lo stesso sistema. I militari italiani erano professionisti in Afghanistan per presidiare un territorio controverso in cammino verso la propria democrazia. La fanciulla marocchina voleva fidanzarsi con un italiano. Quello che voleva anche Hina.

A sbarrare loro la strada, due genitori che hanno in odio l’altrui diritto alla libertà e rivendicano fino alla morte, appunto, la loro supremazia di “padri padroni” e un terrorista anche lui “padrone” che contro l’altrui volontà rivendica il suo diritto ad uccidere e ad uccidersi pur di affermare il proprio punto di vista. E non mi si venga a dire che lì c’è una guerra, che il fine giustifica i mezzi, che gli americani sono nel paese asiatico per impossessarsi delle immense ricchezze di quel popolo. (L’unica ricchezza che mi risulta è l’oppio). Oppure: “lasciamo l’Afghanistan agli afgani”.

 

No. Con la globalizzazione il mondo è diventato piatto e se qualcuno in Afghanistan taglia le mani ad una bambina perché si mette lo smalto, mi riguarda. Posso non avere la possibilità di intervenire o di intervenire su tutto e ovunque, ma quella storia mi riguarda. E’ una mia storia, come è mia la storia dei respingimenti in mare. Una cosa è l’autodeterminazione dei popoli, una cosa la tirannia.

Non voglio comunque affrontare il discorso politico, troppo ampio. Voglio affrontare quello che sta a monte al discorso politico, ovvero la filosofia, l’ideologia che arma la mano di tanti sciagurati e trasforma le loro buone intenzioni in crimini. C’è infatti un filo rosso di sangue che lega questi ultimi episodi di cronaca e lega il nostro paese al lontano territorio afgano.

Uno degli affetti più forti è quello dei genitori verso i figli. Uno degli istinti più forti è quello dell’auto conservazione della vita. Quale forza, quale odio, allora, può spingere dei genitori o un anonimo passante ad uccidere, oltretutto con così sanguinaria ferocia? Si risponde: la loro religione, la loro cultura. 

No, non c’è Dio, non c’è cultura che spinga a atti così efferati, così contro natura. Siamo di fronte ad una patologia devastante e incurabile. E la cosa ancora più grave è che non la si vede e dunque non la si cura.

Innanzitutto come ci si può richiamare a Dio e alla religione? Non c’è Dio che armi la mano di un padre contro un figlio. Non c’è Dio che chieda il martirio. Dai Vangeli al Corano al Talmud ai Veda, Dio è espressione di misericordia, di comprensione, d’amore e di libertà, tanto è che contempla, lasciando liberi, addirittura l’opzione tra bene e male. 

Sono gli uomini, quegli uomini che attribuiscono a Dio quello che è solo il loro pensiero criminale che trasformano le persone “in strumenti ciechi di occhiuta rapina”! Carpiscono la buona fede, la credulità, l’ignoranza, la scarsa voglia a documentarsi e auto proclamandosi detentori del vero iniettano veleni di varia natura. Questo accade all’interno di tutte le religioni dall’islam al cristianesimo, all’ebraismo, all’induismo… perchè il fanatismo è una “malattia infantile”, direbbe qualcuno, del cretinismo.

E’ una miscela esplosiva. Lo scriveva già Voltaire nel suo Dizionario filosofico: "Il fanatismo sta alla superstizione come il delirio alla febbre, come le furie alla collera. Chi ha delle estasi, delle visioni, chi scambia i sogni per la realtà, e le immaginazioni per profezie, è un entusiasta; chi sostiene la propria follia con l’omicidio è un fanatico... Una volta che il fanatismo ha incancrenito il cervello, la malattia è quasi incurabile... Di solito sono le canaglie a guidare i fanatici e a mettere loro in mano il pugnale!

Un mio vecchio insegnante di filosofia, soleva dire: “ci sono due tipi di cacciatori quelli che sparano mirando al bersaglio e quelli che sparano guardando a come hanno messo il gomito”. Evitiamo di guardarci il gomito e di fronte alla strage di Kabul evitiamo di andare a finire sul ritiro o meno dall’Afghanistan. Se si è un po’, solo un po’, più civili, se sentiamo dell’empatia e un senso di umanità verso i problemi degli altri, non possiamo fuggire come topi dalla nave che affonda. Non si fugge, si combatte con tutti i mezzi. Annullando lo scudo spaziale in Polonia come ha deciso Obama, facendo volontariato nelle zone difficili o presidiando militarmente alcune aree.

Mi reputo una pacifista, ma non sono una sempliciotta. So che esiste il lupo e che il lupo si mangia la nonna e dunque se non voglio finire nella pancia del lupo, nel cestello della merendina devo metterci anche qualche sistema di difesa. E proprio perché sono una pacifista che cerca oltretutto di seguire il motto evangelico “ama il prossimo tuo”, proprio perchè sono una femminista, proprio perchè sono una democratica che non posso accettare che un padre sgozzi la figlia, che la madre dica: “forse ha sbagliato lei. Lo perdono”. Essere pacifisti non significa “buonisti”, non significa giustificare un crimine.

Capisco il sindaco del paese dove viveva Sanaa e la sua famiglia, il leghista, Enzo Bortolotti, che dice: "nel nostro comune la mamma di Sanaa è indesiderata. Era nostra intenzione aiutare lei e le due figlie, ma a questo punto aiuteremo soltanto le bambine’’. ’’Questa diciottenne marocchina uccisa brutalmente non sarà dimenticata - ha concluso Bortolotti - e ci adopereremo per l’integrazione naturale e libera di quei giovani che sognano una vita migliore in Italia’’.

Non so cosa la Lega intenda per “integrazione naturale e libera” con quella sua ideologia minacciosa e poco aperturista. Una cosa è certa dovremmo bandire in primis dalle nostre teste, poi dalle scuole, dai luoghi di culto, dalle sedi politiche, ovunque, quel cancro nefasto che si chiama appunto fondamentalismo. E’ la prima necessaria operazione di ecologia psico spirituale che dovremmo mettere in essere a partire innanzitutto da ciascuno di noi. D’altronde come cambiare il mondo se non cambiamo noi stessi?

“La vita è uno specchio e ci rende l’immagine che vi si riflette” 

Commenti all'articolo

  • Di massimo (---.---.---.131) 20 settembre 2009 00:24

    mi fa piacere vedere che le " tremende ideologie razziste " della Lega Nord forse non sono così devastanti come quei fondamentalismi e disvalori culturali che portano dei genitori a sgozzare con una crudeltà mostruosa le proprie figlie.
    Il conflitto non è , ed andrebbe detto con forza una volta per tutte, tra un mondo giudaico - cristiano ed un mondo islamico , ma bensì tra chi uccide e chi rispetta la vita umana e la libertà individuale.
    Io mi dichiaro "razzista" contro la razza che uccide.

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