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 Home page > Tribuna Libera > L’Italia: una Penelope che aspetterà il suo Ulisse invano

L’Italia: una Penelope che aspetterà il suo Ulisse invano

Ispirandomi per il titolo del presente ad un editoriale di Eugenio Scalfari, l’Italia rassomiglia sempre più alla sconsolata moglie del prode eroe girovago, ma c’è il serio e reale rischio che Odisseo questa volta non giunga mai, se non troppo tardi. Infatti, se le cose continueranno così, c’è la verosimile possibilità che Penelope muoia di decrepitudine. Incurante della propria palese criminale incapacità, il governo continua a varare misure mirate a proteggere i propri "privilegiati" e i patrimoni di quelli appartenenti alla casta, così come di quelli appartenenti alle classi agiate, elettori di questi cialtroni corrotti, corruttori ed evasori; misure, queste, che non salveranno l’Italia, perché con tali iniziative - lo sanno pure i polli – non si farà altro che tessere una tela che dovrà esser presto disfatta per ricominciare da capo. Cosa che già avviene con assidua delittuosa puntualità. Tuttavia, l’Italia è ben lungi dall'essere come Penelope, ossia un mito immortale ad uso e consumo di chi voglia citarlo, ma un conglomerato vivente, che nasce, vive, si rigenera, invecchia e muore, già… muore!

Non per esser drammatico, apocalittico o semplicemente fare la parte di Cassandra, ma la cosa è seria, molto seria. Un Paese, il nostro, che è tra quelli che hanno la più alta percentuale di invecchiamento al mondo - dove anche gli extracomunitari si mettono paura a fare figli - che perde anno dopo anno giovani qualificati, il cosiddetto know-how, a vantaggio di altre nazioni; uno Stato dove la scuola primaria e secondaria è a livelli scadenti mai raggiunti prima, con conseguente sottosviluppo culturale dei discenti, sto chiaramente parlando di ignoranza incalzante nelle future generazioni, ma già palpabile nelle presenti; per continuare, una nazione che ha sempre più persone in pensione in numero maggiore rispetto a quelli che lavorano, con conseguente abbassamento degli importi delle pensioni stesse, ergo, la povertà tra i più deboli, ossia gli anziani, incalza e preme sempre di più.

Una strana Repubblica la nostra, dove il suo più alto e celebre fondamento, la Costituzione, dice a chiare lettere nel suo primo articolo che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, ma dove, Leggi, Istituzioni e personaggi, che avrebbero dovuto fare di tutto per onorare tale articolo e tale documento, hanno fatto di tutto in questi ultimi 14 anni, dal varo del Pacchetto Treu in poi, per sconvolgerne le più elementari applicazioni, con conseguente aumento della disoccupazione tra quelli che il futuro della nazione lo devono costruire: i giovani.

Ditemi voi se non è una "tela di Penelope" questa, anzi, più che in siffatto modo la chiamerei ‘martellata sugli zebedei’ - autoinflitta per giunta. La cosa più triste è che, in uno Stato come il nostro, chi ha sempre evaso, accumulando ricchezza, sulla quale ha costruito ingenti patrimoni, ha la possibilità, per giunta, di trasferire impunemente questa ricchezza all’estero, frutto non solo del proprio lavoro, ma anche di un accumulo sulla perpetrazione di un furto, un danno ai danni della collettività tutta, non pagando le dovute tasse e le imposte. Sto parlando chiaramente di media e alta evasione, non di quella di mastro Cecco che arriva sì e no a 15 mila euro all’anno lordi e che gli bastano a stento per sopravvivere. Indicative di ciò, sono le parole del più alto esponente della casta, l’on. S.B., il quale avrebbe, in una telefonata con un noto faccendiere, detto che lui da questo “paese di merda” – ossia l’Italia – se ne vorrebbe andare.

Non ho mai avuto alcun dubbio sui reali sentimenti che costui avesse in sé. Anzi, ho sempre pensato che tutti quelli come lui stanno in questo paese – che altre volte avrebbero detto di amare - perché possano agire indisturbati, per poi defilarsi quando il vento cambia, magari portando tutto il malloppo con sé; e queste parole connotano molto bene il pensiero del capitalismo italiano. Un capitalismo che è responsabile al 90% di questa crisi e che è quello che dovrebbe pagare di più per ricostruire l’economia futura della nazione, e invece, ironia della sorte, come una combriccola di ‘bassotti’ si accinge, forse, a lasciare il Paese. E avverrà così se non li fermeremo. In più, una parte di esso lo fa da anni, lentamente, intestando il proprio patrimonio, frutto anche di evasione pregressa, a società off-shore; di queste società e di questi patrimoni “illeciti” nessuna manovra di questi giorni sembra preoccuparsi, così come non si preoccupa realmente di una delle più grandi fonti di guadagno per lo Stato che è l’incasso finale dell’Imposta sul Valore Aggiunto, ossia l’IVA. In un conglomerato sociale di 60 milioni di abitanti con un’imposta sul consumo del 20% su quasi tutto quello che questi 60 milioni acquistano e consumano è quasi impossibile avere una crisi da tasse non pagate, quando, se questa fosse incassata interamente, con opportuni tagli, forse, potrebbe bastare solo essa a risolvere la crisi del debito pubblico - il problema non si risolverà aumentandola.

Qui c’è qualcosa che non quadra! Che siano proprio le grandi Multinazionali statali, parastatali e privatizzate per finta ad evaderla, gestite con stipendi milionari dall’apparato della casta e dai sui clientes, incassandola da noi tutti e non versandola, o evadendola ‘legalmente’ e illegalmente grazie a servizi offerti da società posizionate all’estero e similia? Domanda, questa, alla quale le manovre del “governo della ricotta” non solo non danno una risposta, ma il problema non se lo pongono affatto. E allora, mentre vanno in scena le solite disgustose pantomine, tra un governo, forse tra i più inetti e incapaci della storia d'Italia, e un presidente di Confindustria che grida sempre “al lupo al lupo” nella tana dei lupi – Confindustria medesima – dove sono proprio i grandi imprenditori che gettano il sasso e nascondono la mano, licenziando a iosa, avendo marciato sulla crisi, dislocando la produzione all’estero, creando disoccupazione, portando capitali all’estero, l’Italia, come una Penelope sempre più attempata, invecchia e si ammala in modo sempre più grave ed inesorabile, aspettando il suo Ulisse che la troverà, se un giorno avrà la ventura di approdare ad Itaca, molto probabilmente, sul suo talamo nuziale in avanzato stato di decomposizione.

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