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 Home page > Tribuna Libera > JFK, la logica per comprendere l’enigma di Dallas

JFK, la logica per comprendere l’enigma di Dallas

Intorno alla morte del più giovane presidente USA sono fiorite negli anni ipotesi di ogni sorta, teorie, scenari, complotti, prove, controprove, milioni di pagine cartacee ed in rete, ma cosa accadde realmente a Dallas 54 anni fa, rimane ancora non del tutto chiarito. La versione ufficiale contenuta nel Rapporto Warren apparve da subito lacunosa e criticabile. Negli anni successivi al delitto emersero poi molti elementi ritenuti sconcertanti e riconosciuti come supporti per la teoria di una cospirazione, non di un gesto individuale ed isolato, ma onestamente oggi, alla luce di attente verifiche tecniche, detti elementi devono essere riconosciuti quasi tutti come inconsistenti. I più famosi di questi sono stati riassunti e riproposti al grande pubblico da un noto film di Oliver Stone. 

Ne citerò alcuni per capire meglio.

Molti sostengono che il filmato di Zapruder descriva inequivocabilmente che il colpo fatale arrivò dal davanti scaraventando il corpo del presidente all’indietro. Jim Garrison, l’unico magistrato statunitense che indagò a lungo contro possibili complottatori, lo indicò come prova certa di più cecchini appostati e quindi di una congiura. Tuttavia ciò che apparirebbe plausibile non è ciò che realmente accadde. Infiniti studi fisici e forensi dimostrano che quando un proiettile trapassa una calotta cranica, l’eventuale esplosione della stessa può avvenire solo dalla parte della fuoriuscita del colpo. In effetti una attenta osservazione dei fotogrammi rivela una perturbazione della nuca di Kennedy, un repentino abbassamento in avanti della testa e solo dopo, un violento movimento all’indietro. La spiegazione è semplice: il colpo perfora la nuca e, mentre fuoriesce dall’area temporale destra, facendo saltare parte della calotta cranica, il corpo di Kennedy subisce un violento spasmo, un riflesso motorio, scatenato dalla distruzione della materia cerebrale stessa. Quello è il momento effettivo della morte del presidente. http://www.youtube.com/watch?v=eqzJQE8LYrQ

  Un’altro elemento sarebbe l’impossibilità che un solo colpo possa aver trafitto Kennedy tra le spalle, sia fuoriuscito dalla sua gola ed abbia pure ferito al torace ad un polso e ad una gamba il governatore del Texas. Anche qui, attente ricostruzioni dell’esatta posizione di JFK e Connelly (posti su sedili sfalsati lateralmente ed in altezza) dimostrano invece che un solo colpo poté essere tanto fortunato. http://frankwarner.typepad.com/free_frank_warner/2009/01/kennedy-assassination-magic-bullet-theory-versus-single-bullet-fact.html

  Grande clamore suscitò lo smarrimento del cervello del presidente che dimostrerebbe la volontà dei congiurati di cancellare le prove dell’esatta traiettoria dei proiettili. Il cervello è stato perso, è vero, ma sono necessarie alcune precisazioni macabre: quando una massa endocranica viene sottoposta a violenti traumi, tende a sfaldarsi, quasi a liquefarsi. Gli antichi imbalsamatori egiziani usavano questo fenomeno per estrarre il cervello senza aprire il cranio; inserivano dalle narici un punteruolo metallico col quale letteralmente frullavano la materia cerebrale riducendola a consistenza semifluida. A questo punto la facevano colare fuori dalla stessa apertura posizionando il cadavere con la faccia verso il suolo. Ebbene al cervello di Kennedy è accaduta la stessa cosa: il proiettile lo ha semplicemente spappolato e le successive manovre dell’autopsia hanno fatto il resto. Foto secretate e diffuse solo recentemente, dimostrano la totale fuoriuscita del cervello in forma semiliquida avvenuta una volta che il coroner praticò una sezione settale della scatola cranica. Probabile quindi che a fine autopsia si sia deciso di gettare via questo inservibile ed inutile reperto organico. http://www.weirdpicturearchive.com/pics/autop-jfk4.php

  Ho citato questi tre casi come esempio, perché nella vicenda sono decine e decine gli elementi tecnici sospetti, talvolta sensazionali, che però non reggono dopo una attenta verifica scientifica.

  Ma se effettivamente tre colpi di un unico cecchino esplosi dal deposito di libri (uno andato a vuoto) produssero gli effetti descritti dalla versione ufficiale, cadono le possibilità di un complotto? Garrison giustamente, da magistrato, cercò la pistola fumante, la prova inoppugnabile per le sue ipotesi e non la trovò. Mezzo secolo dopo tuttavia le possibilità di una congiura e non del gesto isolato di un mitomane, rimangono ancora in piedi, anzi, a mio modo di vedere ne risultano rinforzate. E’ però necessario analizzare la vicenda con un altro metodo: dobbiamo dare meno importanza agli elementi tecnici – che poco ci dicono anche perché forse oggetto di molte manipolazioni volontarie o casuali – e passare invece ad un’analisi della storia con il semplice metodo logico. Vedrete che la logica solleva non pochi problemi alla versione ufficiale riaprendo prepotentemente scenari inquietanti.

  Il cuore del paradosso logico restituitoci dal Rapporto Warren è la figura del presunto attentatore. Descritto come uno psicopatico, Oswald avrebbe ucciso Kennedy su propria iniziativa per farsi riconoscere come motore di una rivolta filocomunista in America e sostenere la battaglia politica di Fidel Castro. Ma nella storia non si conoscono casi di attentatori psicotici e megalomani che tentano di attuare un gesto eclatante con modalità studiate per non essere individuati e riconosciuti. La dinamica dei fatti di Dallas ci mostra un killer che imbastisce un piano per poter colpire senza essere visto e sfuggire alla cattura. Dalla finestra del deposito di libri sarebbe stato perfetto tirare sul presidente mentre la sua auto procedeva frontalmente verso il portone del deposito di libri prima di svoltare a sinistra ed imboccare la leggera discesa della Elm Street; eppure chi ha sparato non lo fa, aspetta una situazione migliore per colpire senza essere subito individuato, anche se con un bersaglio decisamente più problematico. L’arma stessa, un fucile di precisione dotato di mirino ottico, nulla ha a che fare con la teatralità richiesta per un gesto eclatante. Ricordo che nel 1981, uno studente psicopatico che voleva divenire famoso agli occhi dell’attrice Jodie Foster, della quale era follemente innamorato, riuscì quasi nell’intento di abbattere il neoeletto Ronald Reagan sparandogli da pochi metri con un revolver.

Ma le contraddizioni della figura di Oswald non si fermano qui: è un militare, dal sistema nervoso instabile, eppure non viene esonerato. Da militare fugge in Russia, si sposa con una cittadina sovietica, chiede ed ottiene l’asilo politico. Poi cambia idea e rientra in patria con la famiglia senza subire il minimo controllo. Riottiene il passaporto americano senza alcun problema dopo essere stato un membro dell’esercito USA che aveva chiesto ed ottenuto asilo politico in URSS, in un momento tra i più nervosi della guerra fredda. Negli anni duri del freddo conflitto ed immediatamente successivi alla “caccia alle streghe”, può essere verosimile tutto questo? Non solo, ma una volta rimpatriato, Oswald si dedica platealmente ad azioni propagandistiche per i castristi e viene lasciato stare, gli viene persino data una certa visibilità con interviste sulle radio e tv locali. E ancora, avrebbe chiesto un visto per Cuba all’ambasciata sovietica di città del Messico, anche se per un breve periodo avrebbe poi fatto attività tra gli anticastristi, tornando poi nei movimenti filocubani. Se Oswald è stato veramente un individuo disturbato non è la stranezza delle sue gesta che non quadra, ma il fatto che, pur nella platealità delle sue strampalate azioni, nessuno dell’intelligence si sia insospettito e lo abbia controllato. Possiamo ammettere l’illogicità di un individuo, ma è più difficile riconoscere possibile l’illogicità di un sofisticato e capillare sistema di controllo ed intelligence. Oggi si fa fatica forse a capire l’enormità di questo paradosso se non si ricorda la strettissima osservazione ed il clima molto pesante che aleggiava sui sospetti comunisti americani in quegli anni. Queste incongruenze sfociano nella dinamica dei fatti del 22 novembre: Oswald spara a JFK, lo uccide e fugge, torna al suo alloggio, si arma di una pistola e spara ad un agente che lo ferma per un controllo, infine viene catturato in un cinema. Tuttavia, appena catturato, non si vanta del gesto, ma si dichiara pubblicamente un “capro espiatorio”. Non farà in tempo a definire la sua posizione perché brutalmente assassinato due giorni dopo portandosi nella tomba tutti i suoi segreti. Dalle verifiche con i nitrati risultò positivo solo alla mano e non alla spalla ed al volto, come dire che avrebbe sparato con la pistola, ma non col fucile.

Riepilogando, la storia non regge ad una analisi logica per tanti motivi. Il primo, è la mancanza di attenzione delle autorità nei confronti di un individuo potenzialmente nemico del proprio paese, platealmente scappato in URSS, poi tornato in patria e di nuovo coinvolto con un nemico mortale come sostenitore di movimenti filocastristi. Poi non funziona l’idea del gesto eclatante del mitomane, minuziosamente preparato con varie accortezze per non essere scoperto e riconosciuto colpevole. Appare inoltre difficile che, sotto stress e con un mirino collimato male, possa aver fatto due centri perfetti in pochi secondi brandeggiando un’arma antiquata e non automatica. Anche la motivazione politica regge poco. Kennedy infatti aveva risolto la crisi di Cuba garantendo per sempre il non intervento armato nei confronti del regime cubano e diventando così il nemico giurato degli anticastristi, non dei castristi.

 E allora? E allora penso che buona parte dell’impianto di Garrison sia giusta. Forse Oswald lavorava come infiltrato per la CIA e per questo poteva chiedere asilo politico in URSS o aderire ai gruppi castristi senza essere attenzionato e destare sospetti. Se così fosse non era psicopatico e nevrotico e per questo non era stato esonerato dai marines. E quel giorno a Dallas potrebbe aver capito subito di essere stato incastrato in un gioco più grande di lui. Probabilmente non ha mai sparato con quel fucile difettoso, ma qualcuno vicino a lui, ben addestrato ed attrezzato lo ha fatto. Ha capito di essere diventato un’esca e ha cercato di salvarsi sfuggendo alla cattura prima e dichiarandosi capro espiatorio appena arrestato. Se fosse uscito di casa quella mattina per uccidere il presidente, con l’intento di non farsi catturare, perché avrebbe lasciato in camera la pistola che dopo è corso a prendere? Un altro sistema di illogicità risiede poi nel gesto del suo assassino Jack Ruby sul quale dovremmo aprire un nuovo cospicuo capitolo.

 Insomma se non vi sono elementi di prova nascosti nei documenti ancora secretati e di prossima pubblicazione non sapremo mai cosa accadde, ma una cosa è sicura. La versione ufficiale propone molte situazioni illogiche e non contempla tante strane coincidenze quali, ad esempio, le successive morti misteriose di decine di testimoni oculari dei fatti di Dallas. Kennedy fu ucciso con le modalità di un killer professionista non di un attentatore isolato e questo rappresenta un unicum storico. Il presunto attentatore fu a sua volta eliminato prima di potersi difendere e questo è un altro problema. Le inchieste indipendenti furono ostacolate in ogni modo e tanti documenti secretati furono di nuovo dichiarati inaccessibili da George W. Bush alla vigilia della loro pubblicazione nel quarantesimo anniversario della vicenda; alcuni di questi ancora oggi rimarranno segreti in nome della sicurezza nazionale, nonostante le apparenti aperture dell’attuale amministrazione ad un processo di trasparenza.

  Rimane infine il contesto storico nel quale maturò il delitto ad essere molto particolare. Il presidente uscente Eisenhower, militare di altissimo rango, esponente di punta dei repubblicani negli anni del maccartismo, colui che mandò sulla sedia elettrica i coniugi Rosenberg, nel discorso di addio alla Casabianca sentì la necessità di mettere in guardia l’America da un nuovo e temibile pericolo: la possibilità di interferenze pesanti nel sistema democratico dell’insieme di poteri che gestivano l’immenso apparato bellico-industriale, forte di oltre tre milioni di addetti e dotato di risorse economiche illimitate. Un discorso inquietante, considerando soprattutto che fu pronunciato proprio da un ex militare campione dei conservatori; fu un grido di allarme profetico che forse già indicava il destino del prossimo presidente qualora questi avesse tentato di porre qualche freno a quel nuovo e pericoloso potere. https://www.youtube.com/watch?v=8y06NSBBRtY

Sappiamo bene come si comportò in merito Kennedy nei suoi mille giorni. 

Antonio Del Lungo

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