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 Home page > Attualità > Società > Ius soli | Primi attori e comprimari della paura

Ius soli | Primi attori e comprimari della paura

La squallida vicenda parlamentare della legge sullo Ius soli ha molti piccoli padri (piccoli in tutti i sensi, anzi piccini) e una sola grande madre, la Paura.

di Unimondo

Una paura pervasiva, sorda, velenosa che ha serpeggiato per tutta l’estate sotto la pelle del paese, si è gonfiata a dismisura, è cresciuta su se stessa sull’onda dei telegiornali e sulle prime pagine dei quotidiani, dei proclami dell’opposizione e degli atti di governo, operando come un contagio contro cui non sembra esserci vaccino che tenga. Ebbene lo confesso. Anch’io ne sono stato contaminato. Anch’io ho paura.

Non di quello di cui sembrerebbe che tutti dovrebbero averne per esser conformi alla vogue mediatica. Non del migrante, del negro, dello straniero, del pericolo che viene da fuori. Ho paura del morbo che viene di dentro. Ho paura di quanti – e sono tanti – alimentano quella paura, degli spregiudicati imprenditori delle fabbriche della paura, che mobilitano persino il batterio della malaria al servizio del proprio odio etnico e politico. E di quanti la cavalcano, quella paura, per qualche pugno di voti, da conquistare o da non perdere. Ho paura dei Salvini e dei Minniti, dei Sallusti e degli Esposito. Di chi apre le cataratte della peggiore demagogia xenofoba e di chi si presenta come olimpico custode di una legalità formale umanamente insostenibile. Ho paura di un partito che si definisce “democratico” nel suo stesso nome e sacrifica un principio umano fondamentale sull’altare di una lesionata maggioranza. Ho paura di una diplomazia che seleziona i propri alleati tra i peggiori aguzzini libici, pur di scaricare su di loro il lavoro sporco. Ho paura della violenta ipocrisia che ne emana.

Ho paura anche del mio prossimo. Di ciò che siamo diventati: dell’anziana pensionata che a Ventimiglia, affacciata alla finestra della propria casa al pianterreno, aspetta tutti i giorni il passaggio della volontaria di Intersos che assiste l’umanità dolente accampata sul greto del torrente, per insultarla. Degli anonimi vicini che tagliano di notte le gomme dell’auto a chi presta ospitalità ai migranti. Dell’uomo in malarnese, forse un disoccupato o un cassintegrato, che mi guarda storto se sulla porta del supermercato scambio un sorriso col senegalese in attesa, e gli affido il carrello perché ne ricuperi l’euro…

Mi spaventa, soprattutto, l’impressionante permeabilità del nostro immaginario (collettivo e individuale”) all’operazione mentale che ha portato a trasformare la migrazione da problema in ossessione (in nuovo “pensiero unico”), forzandone parossisticamente le dimensioni percepite (l’”invasione”!) e facendola esplodere nell’agenda politica. Perché di una vera e propria “operazione mentale” – o sul mentale – si tratta, a cui stanno lavorando tutti e tre i principali attori politici, quelli d’opposizione con l’intenzione di quotare alla propria borsa la paura come arma di delegittimazione di massa del governo, e quello di governo, per quotare alla propria borsa la promessa la securizzazione del fenomeno e il monopolio del controllo della paura.

Un’operazione – possiamo aggiungere – non nuova, paragonabile ad altre, che negli ultimi decenni hanno trasformato le linee di fondo del nostro sistema politico: quella che nella prima metà degli anni Novanta ha segnato la fine della Prima Repubblica e del suo sistema dei partiti (di massa), e quello che alla fine del primo decennio del secolo ha posto fine al tendenziale bipolarismo della Seconda Repubblica. Entrambi strutturate sullo stesso meccanismo che portava a far deflagrare un aspetto reale ma particolare fino a totalizzarlo e fargli occupare l’intero campo della discussione e dell’azione pubblica: nel primo caso si trattò della corruzione, nel secondo dello spread e della crisi del debito. Ora tocca ai migranti. E c’è davvero il rischio, reale, realissimo, che su questo tema ad alta potenzialità emotiva, se non si riuscirà a disinnescarla quella carica, si strutturi tutta la prossima campagna elettorale, piegando ad esso il profilo delle forze politiche e dell’azione istituzionale, in una rincorsa a chi con maggior clamore sfida e travalica il confine tra umano e inumano, nella ricerca di consenso.

Ma disinnescare quella carica esplosiva non è cosa facile. Non basta contrapporre al trionfo dell’inumano il racconto umanitario per dissolverla. Né il richiamo edificante a una solidarietà triturata e massacrata nella deriva individualistica che per decenni ci ha riconfigurati. La “malattia” è di sicuro “mentale”, ma ha una solida base materiale. La paura che si fa ostilità verso l’altro ha le sue radici nel processo di deprivazione, di perdita, di marginalizzazione e di precarizzazione dell’esistenza che ha sfarinato la nostra società. Nell’esercito di declassati, falcidiati nel reddito, umiliati nello status, smarriti nella dissoluzione dell’identità professionale o sociale, nella sensazione di essere stati abbandonati, sacrificati, dimenticati. È nella rabbia dell’”uomo dimenticato” e della frustrazione dell’indebitato e del fallito, che si annida la “malattia mentale” della paura dell’altro, dell’invasione, dello straniero… «Chi è sradicato sradica» scriveva Simone Weil a proposito della catastrofe mentale consumatasi entre deux guerres. Potremmo riadattarne il senso dicendo che «Chi è deprivato depriva»… E suona a beffa feroce che i responsabili di quella deprivazione, chi dal governo (centro-destra o centro-sinistra) ha contribuito con le proprie scelte sciagurate, d’austerità e di privilegio, a produrre quella deprivazione di massa, oggi tenti di usare quella stessa massa di deprivati – quei “penultimi” infuriati – per trarne consenso a danno degli ultimi tra gli ultimi.

È a quei “penultimi” che dovrebbe guardare una sinistra che si volesse adeguata alla sfida, per difenderne con le unghie e con i denti reddito, status e garanzie, se non si vuole che sull’altare dei loro diritti sociali offesi sacrifichino fin anche i diritti umani degli altri e di tutti.

Marco Revelli da Serenoregis.org

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di Truman Burbank (---.---.---.238) 15 ottobre 2017 18:23
    Truman Burbank

    Mi danno un certo fastidio i razzisti. Possono essere pericolosi se le loro ragioni vengono alimentate in continuazione.
    Mi danno ancora più fastidio quelli che inventano problemi di secondo ordine per evitare di parlare di quelli reali. Perchè con il loro pianto ipocrita alimentano le ragioni dei razzisti, delle destre xenofobe, dei qualunquisti.
    "Il sonno della ragione genera mostri" ammoniva Goya. Il sonno della ragione di tutta la sinistra provoca mostriciattoli come lo "ius soli" e alimenta mostri più grandi (la crescita della parte più xenofoba e reazionaria della destra), contribuendo nel frattempo a demolire gli ideali della sinistra.
    Tra le svariate metodologie con cui la sinistra si è suicidata, la "ius soli" è ben piazzata.

    Per conoscere i veri problemi dell’Italia sarebbe sufficiente che questi parlamentari eletti nel disprezzo della nostra Costituzione si dimettessero e lasciassero la voce agli elettori. Loro potrebbero utilmente dedicarsi all’gricoltura in Siberia. Putin sarebbe lieto di ospitarli.

  • Di pv21 (---.---.---.221) 15 ottobre 2017 19:45

    Occhio !! >

    La cittadinanza non è una medaglietta o una catenina d’oro di “ornamento” per un bimbo/a, figlio di genitori stranieri, di cui volendo possa disfarsi appena maggiorenne.

    Equità e giustizia sociale vogliono che chiunque risieda per anni in modo regolare e stabile nel nostro paese abbia il “diritto” di usufruire del collettivo sistema di istruzione e offerta professionale, nonché di beneficiare dell’assistenza sanitaria e sociale necessarie.

    Per conseguire questo risultato non occorre conferire lo “status” di cittadino ad un infante.


    Ancora. Lo “jus sanguinis” è il simbolo, il  retaggio storico-culturale di una realtà partecipata che accumuna e “identifica” l’intero paese. E’ sentirsi “orgogliosi” di essere italiani.

    Per i nuovi arrivati non può diventare una “gratifica”, concessa pro tempore e per interposta persona, soggetta a futuri “liberi” ripensamenti.

    DEVE essere l’imprimatur di un percorso scelto, voluto e implementato per una più che convinta integrazione. E il passo finale compiuto con la maggiore età.

    Anche perché ricevere tale status oltre ai “diritti” implica dei sostanziali “doveri” (ad es. Art 52 Costituzione).


    Ergo. Al limite basta adottare una specifica dicitura che qualifichi l’attenzione ed il rispetto dovuti a dei “predestinati” futuri cittadini.

    Nessuno ha il mandato di “snaturare” il valore e il significato di Parola e Merito

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