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Istruzione. Riformare la riforma

E’ a Genova, sul palco della manifestazione RepIdee 2015 organizzata dal quotidiano La Repubblica, che il premier Matteo Renzi ha compiuto un gesto di grande onestà intellettuale ammettendo che, nella riforma dell’Istruzione presentata dal Governo all’esame delle Camere, qualcosa non va. Intervistato dal Direttore del quotidiano, Ezio Mauro, ha dichiaratoQualcosa non ha funzionato. Il colpevole sono io. Riaprirò la discussione”.

A questo punto non vi è alcun alibi per l’Istituzione Parlamento: il cittadino si aspetta un pubblico e democratico dibattito che produca una riforma della riforma.

Il primo punto in cui l’impianto della proposta del Governo è estremamente carente è l’attuazione del disposto dell’art. 34 della Costituzione sulla scuola dell’obbligo: “L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita”. La prima fase del percorso formativo deve durare almeno otto anni e tutti devono seguirla.

Il disposto costituzionale delinea una lunga fase scolastica egualitariamente fruita da tutti ed atta a formare il cittadino. Dunque, in questa fase, l’esigenza primaria dell’Istituzione Scolastica non è certo quella della diversificazione dell’offerta formativa, anzi la sua esigenza primaria è quella dell’uniformità atta a garantire al cittadino universale eguaglianza del diritto alla formazione di base per la successiva partecipazione alla società.

La durata di questa fase è indicata in otto anni come minimo, ma nulla vieta di estenderla. Oggi è più che mai necessario rivederne ed ampliarne i contenuti e la riforma in effetti lo fa introducendo informatica, diritto, economia, fiscalità, legalità etc.. Forse sarebbe opportuno tenere conto dei continui e rapidi cambiamenti della società ormai globalizzata, prevedendo una periodica automaticità nella revisione dei contenuti della scuola dell’obbligo.

A questo punto anche il limite minimo degli otto anni appare inadeguato: forse occorre aumentare la durata della scuola dell’obbligo a dieci anni, come già accade da tempo in altri Paesi della Comunità Europea.

Il secondo punto è quello dell’Istruzione superiore ed universitaria. Un'organica riforma non può non affrontare insieme questi due settori, accomunati dalla finalità essenziale della propedeuticità all’inserimento nel mondo del lavoro.

Il riferimento costituzionale è il comma 5 dell’art. 33 sul valore legale dei titoli di studio: “E’ prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuola o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale”. E’ veramente difficile pensare di applicare sic et simpliciter questa norma oggi davanti alla globalizzazione dell’economia, davanti ai trattati della Comunità Europea che hanno liberalizzato la circolazione delle merci e delle persone. Possiamo pensare di impedire ai nostri giovani di iscriversi ad università tedesche, francesi, rumene, etc.? Certamente no. Possiamo pensare di impedire a diplomati ed a laureati in Istituzioni tedesche, francesi, rumene, etc. di esercitare in Italia la loro professione? Certamente no. Traiamone dunque le conseguenze.

Il nostro attuale sistema di Istruzione superiore ed universitario è un sistema a guida fortemente dirigistica centrale, che riesce solamente a concedere alla Università una qualche forma di autonomia con l’ultimo comma dell’art. 33 della Costituzione, che recita “Le Istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato”.

Non c’è affatto da stupirsi che questo sistema non sia in grado di competere e che, ad esempio, sia sistematicamente escluso dall'assegnazione dei premi Nobel. Questo sistema di Istruzione è una vera e propria palla al piede del sistema successivo a valle, quello economico, il sistema delle imprese che deve da solo provvedere alla corretta formazione dei propri quadri direttamente sul posto di lavoro.

Dal punto di vista sociale, poi, questo sistema crea infinite ingiustizie per il familismo cui dà vita. Non possiamo continuare a far finta di non vedere la fuga generalizzata dei giovani delle regioni meridionali verso gli altri Paesi della Comunità Europea e verso le regioni settentrionali. Non illudiamoci: sino a che la valutazione dei titoli di studio non sarà fatta dal free market le cose andranno così. Per dare autorevolezza all’Istituzione scolastica occorre far sì che essa possa e debba andare a cercarla fuori da se stessa, ossia nel mondo del lavoro.

Pensare che tutti questi complessi problemi possano essere affrontati con una vuota parola come “buona autonomia” e dando poteri ai presidi è quanto meno pretenzioso.

Per l’Istruzione superiore ed universitaria occorre un intervento sulla Costituzione, occorre una revisione degli art. 33 e 34, come si è fatto con la riforma del Senato e del Titolo V.

Se una profonda riforma dell’Istruzione Primaria può e deve essere fatta con rapidità e con efficienza nel pieno rispetto del dettato costituzionale, per l’Istruzione Superiore ed Universitaria le cose stanno in maniera diversa. Ma questo Paese ed il suo premier Matteo Renzi hanno già dimostrato con la riforma del Senato e del Titolo V della Costituzione che, se veramente lo vogliono, possono cambiare le cose.

Foto: Wikimedia ("HDR - Chiostro Università Cattolica" di Gabriele Barni from Monza, Italy - HDR - Chiostro Università Cattolica. Con licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons - http://commons.wikimedia.org/wiki/F...)

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