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Israele ha bombardato il Sudan

Sembrano confermate le voci di un gravissimo bombardamento israeliano in territorio sudanese. Secondo Haaretz e altre fonti, in gennaio l’aviazione israeliana avrebbe bombardato un convoglio di automezzi che secondo i servizi israeliani era impegnato nel trasporto di armi per Gaza.

L’attacco sarebbe avvenuto vicino a Port Sudan, provocando la morte di trentanove persone (sudanesi, etiopi ed eritrei) e la distruzione di diciassette veicoli e rappresenta un atto d’aggressione gravissimo nei confronti del Sudan e della sua sovranità. Port Sudan dista circa milletrecento chilometri dalla frontiera di Gaza e non sarebbe la prima volta che Israele prende una cantonata, denunciando e cercando di colpire quelli che definisce trasporti di armi per i palestinesi. Vista la distanza c’è il sospetto che la squadra israeliana sia partita da Gibuti, sede di una grande base militare francese che ospita anche truppe americane.

Al di là della veridicità delle accuse israeliane, la questione ovviamente esula dal fatto che si trattasse veramente di un trasporto di armi. Resta evidente l’illegalità del bombardamento arbitrario di un paese con il quale Israele non è in guerra, una grave lesione del diritto internazionale e anche del buonsenso, visto che qualora si legittimasse l’azione israeliana, qualunque paese avrebbe diritto di bombardarne altri sulle stesse basi. Sono le stesse premesse alla base di quel diritto alla "guerra preventiva" che non esiste nel diritto internazionale, ma solo nella mente di Stati Uniti ed Israele quando hanno cercato di legittimare le aggressioni a paesi sovrani, che non hanno e non avevano alcuna possibilità reale di offendere le due potenze militari.


Altrettanto evidente risalta il grado di sudditanza del governo sudanese, spesso spacciato per feroce e pericolosa dittatura ostile all’Occidente dai media compiacenti, negli ultimi anni ha invece collaborato attivamente con gli Stati Uniti nella War on Terror e oggi si scopre riluttante nel denunciare il bombardamento del suo territorio per mano israeliana.

Dalle parole di un ministro sudanese, il governo sudanese sarebbe rimasto "imbarazzato" dal bombardamento e incapace di articolare una reazione diversa dal consultarsi con il governo egiziano. Solo oggi sono trapelati i fatti, che risalgono ai giorni nei quali era ancora in corso la spedizione punitiva su Gaza. L’imbarazzo deriva dall’avvicinamento che in questi anni c’è stato tra il governo di al Bashir e quello di Bush, una vicinanza qui tradita in favore di un altro alleato di Washington.

Fatti che raccontano, oltre la propaganda, del potenziale intimidatorio che gli USA in particolare mantengono sul governo sudanese, troppo spesso presentato alle opinioni pubbliche come un mostro indomabile, ma che alla prova dei fatti si rivela servile e collaborativo fino all’omettere la denuncia di una violazione tanto grave della sua sovranità. Non è vero che in Darfur sia in corso un genocidio, ma non è nemmeno vero che l’Occidente si sia rifiutato di intervenire quando il massacro era in corso perché al Bashir minacciava sfracelli, dopo il 9/11 il regime sudanese è stato tra i più veloci e volenterosi nell’allinearsi alle pretese di Washington, che infatti non ha mai fatto pressioni ufficiali per attacchi o interventi contro il governo di al Bashir, limitandosi a lasciare la briglia sciolta a ONG, telepredicatori e starlette.

La notizia dimostra quindi che il Sudan è assolutamente sottomesso alle esigenze del Dipartimento di Stato, circostanza peraltro già dimostrata dal sostanziale sostegno che il governo sudanese ha ottenuto negli ultimi anni dal governo Bush. Regime al quale peraltro gli Stati Uniti hanno affidato l’interrogatorio e la tortura di decine di militanti “islamici” per conto della CIA. Nemmeno in questo caso si tratta di voci, visto che numerosi ufficiali governativi americani hanno ringraziato i servizi segreti sudanesi pubblicamente.

Accanto a questa considerazione c’è da registrare ancor una volta un’aggressione illegale e una strage compiuta da Israele nei confronti di paesi e persone che non sono in guerra con Israele. Un atto di guerra evitabile affidando la cattura del convoglio alle autorità egiziane, alle quali non poteva certo sfuggire, ma anche e ancora il rifiuto di ricorrere a una normale operazione di polizia per impedire la commissione del presunto crimine, preferendo ancora una volta il metodo dell’esecuzione arbitraria, senza alcun processo, senza alcun discernimento tra i criminali consapevolmente impegnati nel traffico e i lavoratori innocenti addetti al trasporto o ancora alle possibili “vittime collaterali” di un bombardamento aereo su una strada aperta al traffico.

Non resta che attendere per verificare quanti governi “democratici” si dimenticheranno di denunciare questo atto di guerra israeliano e la conseguente e grave violazione della sovranità sudanese, c’è da scommettere che all’appello si sottrarrà gran parte di quei sostenitori della “legalità internazionale” che hanno continuato ad esercitarsi nel -tiro al Sudan- fuori tempo massimo.

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