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 Home page > Tribuna Libera > Israele e la linea rossa

Israele e la linea rossa

Per la seconda volta in una settimana pare che Israele abbia colpito interessi militari di Hezbollah in Siria.

Anche se conferme dirette - israeliane o siriane - non ce ne sono, vale la pena di cercare di capire almeno due cose: la prima riguarda il motivo per cui lo stato ebraico ha ritenuto così urgente infilarsi nel pericoloso caos siriano pur di assestare un altro colpo pesante alle infrastrutture logistiche del “partito di Dio” libanese. E la seconda riguarda il misterioso silenzio-assenso di parte russa: l’obiettivo colpito appartiene al più fidato alleato storico del regime iraniano ed anche del governo “legittimo” di Assad, che a sua volta è da sempre alleato della Russia e supportato apertamente da Putin nel recento conflitto con l’area composita della ribellione sunnita.

Ciononostante tutto tace.

Blande reazioni da parte siriana, nessuna reazione da parte russa, toni non esasperati perfino da Hezbollah. I jet con la stella di David sembrano aver colpito nella più totale impunita tranquillità.

La logica vuole che sia stata tracciata già anni fa, lo ricorda il quotidiano della sinistra israeliana Haaretz, una precisa linea rossa che Israele non permette di oltrepassare: il trasferimento di armi sofisticate (chimiche o missilistiche) dai depositi sotto controllo siriano verso i magazzini libanesi di Hezbollah, il nemico storico, responsabile del duro conflitto del 2006, e attualmente anche il più pericoloso per lo stato ebraico.

Questa linea rossa deve essere stata chiarita al punto che Assad fu "convinto" a smantellare (almeno ufficialmente) il suo arsenale chimico messo in pericolo dall'avanzata dei ribelli siriani e dal Califfato.

E chiarita anche a Putin quando l’intervento diretto dei russi sul barcollante fronte siriano fu “concordato” con i due competitor locali: la trattativa con i turchi passò attraverso un duro braccio di ferro che costò l’abbattimento di un jet militare all’aviazione russa; quella con Israele è stata molto meno difficile alla luce del drastico raffreddamento dei rapporti israelo-americani durante l’amministrazione Obama.

Il risultato raggiunto sembra essere - in cambio di un non ostacolato intervento russo finalizzato a impedire la scomparsa degli alleati sciiti nel Vicino Oriente - una tacita autorizzazione a voli notturni di aerei “sconosciuti” o un’improvvisa distrazione degli addetti russi dallo schermo verde dei radar che sicuramente “vedono” quello che si muove in profondità nei cieli di Israele, oltre che in tutta la Siria.

In sintesi nessun impedimento a colpire quello che tassativamente non deve essere trasferito in Libano: armi troppo pericolose per Israele in mano a nemici agguerriti e determinati, oltre che obbedienti agli ordini di Teheran dove di sicuro non si sta fermi ad aspettare gli eventi.

In particolare dopo la vittoria di Trump nelle elezioni USA e, soprattutto, dopo le sue dichiarazioni bellicose verso il trattato sul nucleare voluto da Obama e sottoscritto solo un anno fa.

Il quadro complessivo sul territorio mediorientale lascia intravedere lo scontro di sempre, oltre lo scenario siriano, che lentamente e sanguinosamente si avvia ad una nuova pacificazione. “Hanno fatto un deserto e lo hanno chiamato pace” avrebbe detto Tacito e nessuna definizione sembra essere più adatta allo stato attuale del paese.

Fra poco Trump prenderà ufficialmente il posto di Barack Obama alla guida della superpotenza a stelle e strisce ed è noto che, storicamente, i presidenti repubblicani sono stati meno interventisti di quelli democratici, quindi meno belligeranti anche se, a parole, più bellicosi. Ma i due Bush hanno rovesciato l’assodata consuetudine provocando in due tappe successive un drammatico buco nero in quello che una volta si chiamava Iraq.

Non ci resta che aspettare per vedere se The Donald sarà il classico repubblicano isolazionista, come ha dichiarato più volte, e si limiterà a osservare da lontano le guerre per procura che i tanti attori mediorientali continueranno ad alimentare o se sarà uno di quelli che fanno i deserti e li chiamano “pace”.

Proprio come il suo omologo di Mosca.

 

Foto: Israel Defence Force/Flickr

Commenti all'articolo

  • Di Persio Flacco (---.---.---.195) 8 dicembre 2016 22:08
    L’ipotesi dunque sarebbe questa: israeliani, russi, siriani, eventuali altri, avrebbero segretamente concordato di stabilire una "linea rossa" per cui a Israele verrebbe tacitamente riconosciuto il diritto di eseguire incursioni in territorio siriano per impedire il trasferimento di armi sofisticate a Hezbollah in Libano.

    Se l’ipotesi fosse vera, ciò implicherebbe che i raid effettivamente condotti da Israele in territorio siriano avrebbero avuto l’implicito assenso di Russia e Siria. A supporto di questa ipotesi si fa notare che, finora, né russi né siriani hanno reagito agli attacchi. Non reagiscono; ergo: assentiscono.

    Ma questa ipotesi, che *casualmente* tende a legittimare i raid israeliani, ha un evidente punto debole: se russi e siriani sanno che i trasferimenti di armi a Hezbollah provocano i raid israeliani, perché consentono che siano organizzati? Nei raid ad essere violato è lo spazio aereo siriano, ad essere colpite sono infrastrutture militari siriane, a subire un danno di immagine sono russi e siriani: perché si esporrebbero a tutto questo invece di vietarli? 
    Inoltre, perché Israele colpisce in pieno territorio siriano invece che colpire i convogli al loro arrivo in territorio libanese o in prossimità del suo confine? Possibile che la sua intelligence sia più efficace in pieno territorio ostile piuttosto che ai suoi margini?

    Infine, quali prove vi sono che i raid israeliani sono diretti a colpire i trasferimenti di armi a Hezbollah? Solo chi ha una fede cieca in Netanyahu può considerare vero a prescindere che sia quello il loro obiettivo. Anzi: ormai Netanyahu non deve nemmeno più affermare nulla, dal momento che in giro per il mondo dispone di una pletora di suoi megafoni pronti a giurare che è quello, e solo quello, l’obiettivo dei raid. Tutti gli altri (evidentemente antisemiti in incognito) gradirebbero dei riscontri verificabili, altrimenti tendono a dubitare.

    La sua ipotesi è un generoso tentativo di salvare la reputazione di Netanyahu e della sua cricca di guerrafondai, ma non sta in piedi.
  • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.93) 8 aprile 2017 12:22
    Fabio Della Pergola

    Ovviamente sta in piedi. Basta guardare cosa succede.

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