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Israele: ancora più destra

Il governo israeliano, forte di un solo voto alla Knesset, si è improvvisamente spinto ancora più a destra reintegrando il leader di Israel Beytenu, Avigdor Liberman.

In un ruolo, cosa niente affatto trascurabile, estremamente sensibile quale quello di Ministro della Difesa.

Vale a dire nel ruolo fondamentale, più del dicastero degli Esteri, per le trattative con i palestinesi, moderati o estremisti che siano, con i paesi arabi, con le grandi potenze. Perché nessuno può fare sul serio i conti sul Medio Oriente senza tenere bene a mente chi tira le redini delle forze armate israeliane (IDF); in particolare dell'arma "forte", l'aviazione, di radicate tradizioni laburiste.

Oggi a capo delle IDF c’è un estremista fanatico come Avigdor Liberman.

L’apertura di Netanhyahu all’estrema destra ha stupito gli analisti internazionali e ha scandalizzato i politici di centrosinistra come Ehud Barak che non ha esitato a parlare di “segni di fascismo in Israele”.

Sia gli esponenti dell’opposizione interna che parte della diplomazia internazionale, con Obama, Blair e il presidente egiziano al Sisi in prima fila, premevano perché il barcollante governo israeliano si aprisse a una Grosse Koalition con il partito di centrosinistra Unione Sionista, che avrebbe assicurato non solo maggiore stabilità politica, ma anche una qualche forma di moderazione nei rapporti, ad oggi stagnanti, con l’Autorità Palestinese.

Nel momento in cui le formazioni più estreme della galassia palestinese, Hamas in testa, sono in estrema difficoltà, abbandonate da tutto il mondo arabo coinvolto nell’ampia crisi sunnito-sciita, l’occasione di chiudere una volta per tutte la questione israelo-palestinese sembrava a portata di mano. La proposta di mediazione egiziana, l’appoggio giordano e la discreta apertura di dialogo con i sauditi lasciava presagire la fine di Hamas - per asfissia politica - e la definitiva accettazione di un accordo sostanziale, molto al ribasso, con Abu Mazen.

Il collasso della prospettiva di un governo di unità nazionale a Gerusalemme non lascia invece intravedere nulla che vada in questa direzione; cioè nulla di buono. E la scelta di Netanyahu non è affatto di facile lettura.

Per poterla spiegare in qualche modo è necessario cercare di capire dove sta andando il Medio Oriente dopo che, grazie all’intervento russo, le forze lealiste siriane stanno mettendo in seria difficoltà l’Isis e le altre formazioni ribelli.

Con questo intervento sembra fallito il progettato corridoio sunnita nord-sud, dall’Arabia Saudita alla Turchia attraverso il territorio del Califfato, ma sembra lontano dal successo anche l'ininterrotto corridoio sciita, sotto l’egida di Teheran, dai confini dell’Afghanistan fino alle spiagge libanesi governate di fatto da Hezbollah, attraverso l’Iraq dello sciita Haydar al-'Abadi e la Siria di Assad.

Il drammatico incrocio tra la via sciita est-ovest con la rivale sunnita nord-sud, crocicchio che ha causato in Siria quasi 500mila morti e milioni di sfollati, sembra andare verso un nuovo (temporaneo?) equilibrio di fatto.

Ed ora sembra arrivato il momento di ridisegnare la mappa futura delle alleanze.

La trama intessuta da Israele, fermo restando lo stato di dichiarata ostilità verso Teheran e i suoi alleati, ha portato al dialogo con i sauditi, a un riavvicinamento sostanziale con Istanbul, a una robusta intesa con l’Egitto dei generali.

Ma avvicinarsi alla Turchia non poteva che portare a una sgradevole distanza da Mosca, dopo l’abbattimento del jet russo da parte dei turchi. Quindi, che fare?

La nomina di Liberman, di lingua e origini russe oltre che grande estimatore di Putin, non può che essere un segnale gradito a Mosca.

Il che ci porta ad immaginare un futuro Medio Oriente con una più marcata presenza della rediviva potenza russa e sempre più lontano dall’Europa a guida anglo-francese (a cui Netanyahu ha letteralmente sbattuto la porta in faccia) e da quell’America che ha determinato il Buco Nero iracheno in cui tutto è sprofondato, salvo poi irritare tutti gli alleati in loco (Netanyahu in primis) con l’accordo sul nucleare iraniano.

Meglio Putin di Obama, insomma, in attesa dell'esito delle prossime presidenziali americane.

Una seconda ipotesi, più fantasiosa, vorrebbe che l’ingresso di Liberman sia stato voluto per provocare la defezione del partito centrista Kulanu del pragmatico Moshe Kahlon, il cui ingresso nel governo fu la causa prima proprio dell’uscita di Liberman un anno fa. 

Con le dimissioni dei dieci parlamentari di Kulanu il governo non avrebbe più i numeri per tenere e Netanyahu sarebbe “costretto” alla Grande Coalizione con il centrosinistra, facendo fuori l’estrema destra, ma rimanendo in sella senza aver fatto niente, apparentemente, per dispiacere alla sua parte politica naturale.

C’è poi, naturalmente, un’altra possibile ipotesi alla nomina di Liberman, ma è quella che, per scaramanzia, sarebbe meglio non evocare: la resa dei conti definitiva manu militari con Hamas.

 

Foto: Israel Defense Forces/Flickr

 

Commenti all'articolo

  • Di Roberto Tincani (---.---.---.184) 28 maggio 2016 07:31

    Interessante e naturalmente preoccupante. Ci sarebbe da considerare poi che forse l’iniziativa di colloqui francese, modulata col tatto del proverbiale elefante nella cristalleria, deve avere irritato (e forse preoccupato) ben oltre le apparenze gli ambienti della destra di governo, dando quella spinta verso l’estremismo che probabilmente attendevano da un po’.

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