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Isis e terrorismo: come se ne esce?

Da quello che si capisce, i leader occidentali sbraitano tutti alla guerra, ma, in realtà, non sanno da che parte cominciare.

Hollande è il più deciso, dice con chiarezza che siamo in guerra ma non dice contro chi (l’Isis? il terrorismo jihadista in genere? i suoi fiancheggiatori?) e non sa se bisogna mettere gli scarponi nella sabbia; Obama è in guerra anche lui, ma esclude truppe di terra, Cameroon fa la faccia feroce ma fa capire che da solo non fa niente. Il più sensato sembra Renzi che dice che si forse sI può, ma solo se ci sta la Russia, non lo dice per idealismo ma per un gioco di interessi di cui parleremo, ma funziona lo stesso: il fatto è che la funzione storica di Hollande è quella di far fare bella figura a Renzi. Tutti vogliono sconfiggere il terrorismo ma le ricette sono quelle di sempre (meno libertà in cambio di più sicurezza, chiusura di Schengen, delle moschee e dei siti jihadisti ecc) che non hanno funzionato sin qui e non funzioneranno una volta di più. Ed allora, che fare?

Prima di tutto prendere atto di essere di fronte ad una crisi senza precedenti in cui si sommano i vari conflitti interislamici (fra sunniti e sciiti, fra progetti unitari e classi dirigenti nazionali, fra stati, fra società civili e stati tribali, fra turchi e curdi ecc ecc.), i conflitti fra pezzi di mondo islamico e paesi circonvicini (Europa, Russia, Cina, India), quello fra Jihad ed Usa ed alleati ecc… Il tutto complicato da giochi doppi e slealtà varie.

Ad esempio, come si fa a continuare a ritenere “islamici moderati” quatarioti e sauditi che sono l’espressione del wahabismo, cioè l’Islam più integralista, arretrato e selvaggio? E, infatti, sono loro i finanziatori occulti dell’Isis come lo furono di Al Quaeda.

A questo punto siamo arrivati (come ammettono la stessa Clinton e lo stesso Blair) per la serie di incredibili errori dell’Occidente, quantomeno da 35 anni, con l’Afghanistan (disastro iniziato dai russi, per la verità) e con l’incapacità di gestire la crisi iraniana. Ma forse dovremmo risalire più indietro nel tempo, quantomeno alla fine dell’Impero Ottomano ed alla scellerata spartizione che ne seguì. La storia ha le ombre lunghe cari amici, convinciamocene. Sul piano storico ci separano dal colonialismo grosso modo due secoli e mezzo: come dire qualche mese, sul piano storico. E l’Occidente ha risolto ogni crisi ponendo le premesse per una successiva e più grave crisi, che verrà risolta preparandone una ancora maggiore e così via.

Ora è arrivato il momento di ripensare tutto. Non si esce da questa crisi con gesti unilaterali, è indispensabile che arabi, turchi ed iraniani partecipino ed, anzi, siano alla testa dello scontro con la jihad. Non si tratta di far fare agli altri le guerre per conto nostro. Chi dice questo non ha capito nulla.

L’Occidente deve dare il suo contributo in questo senso, ma solo se richiesto e non al comando che deve restare al uno stato maggiore congiunto a prevalenza islamica. Questo però è possibile solo se prima si raggiunge una intesa sulla risistemazione dell’area. Non è necessario che ci stiano tutti, è sufficiente una coalizione ampia in grado di trovare uno schema base ed avere sufficiente energia per farla accettare a tutti gli altri. Ma questo significa liquidare anche un po’ di partite pendenti, come quella fra Turchi e Curdi, o quella fra palestinesi ed israelianI, con disponibilità di tutti a fare qualche rinuncia.

Utopia? Forse, ma necessaria. Ed allora come se ne esce? Semplice: non se ne esce. Almeno per un bel po’ di tempo…

Questo articolo è stato pubblicato qui

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