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Irresponsabili sulla Libia

Avevo concluso l’articolo di ieri, Le guerre non scoppiano più? E la Libia?, osservando che “è probabilmente troppo tardi per qualsiasi tipo di intervento”. Il “probabilmente” in realtà potevo risparmiarmelo. Mi riferivo comunque a un intervento in grado di arginare la guerra di tutti contro tutti che dilaga da mesi in Libia.

Ma c’è una spirale irresponsabile che esclude ogni dubbio: scaldano i muscoli i paracadutisti della Folgore, i carabinieri paracadutisti del Tuscania, i marò del San Marco. È allertata la portaerei Garibaldi e naturalmente le molte navi militari che inizialmente erano destinate in quelle stesse acque al salvataggio dei naufraghi e che sono state sostituite per questo scopo da modestissime e inadeguate unità della guardia costiera. La Pinotti annuncia trionfalmente che ci sono già 5.000 uomini pronti a salpare…

Ne parla con entusiasmo il governativo “Messaggero”. I giornali più bellicisti e che strizzano l’occhio a Salvini motivano apertamente i preparativi di guerra con argomenti tutt’altro che umanitari: bloccare in partenza o comunque in mezzo al mare il flusso di migranti disperati. Questo sì che sarebbe possibile farlo, e anche probabile, visto che non si può gonfiare sistematicamente la spesa militare, e fare campagna su tutti i media sulla “guerra di civiltà” che ci minaccerebbe, e poi non far nulla più che la solita campagna sui nostri “due eroi” da liberare. Ma ogni intervento armato, oltre a non incidere sullo scontro in Libia su cui la maggior parte dei nostri capi militari non hanno la minima idea, non servirebbe nemmeno per l’infame scopo secondario del blocco violento dei flussi migratori, se non per il breve tempo necessario per organizzare altri itinerari su cui una fiumana umana inarrestabile si riverserebbe, indifferente a tutti i pericoli.

La Pinotti invece è sicura e annuncia: “faremo come in Iraq”. Possibile che nessuno le dica come è andata a finire? E che proprio dal fallimento di quegli interventi distruttori è nato lo Stato islamico?

Ritirarsi dal conflitto libico oggi non è viltà. Non solo ogni intervento militare, ma ogni dichiarazione bellicista sarà pagata a caro prezzo da innocenti, colpevoli solo di avere la stessa religione o la stessa nazionalità di Gentiloni o della Pinotti.

E a chi considera sacrosanto il “nostro petrolio” ricordiamo che dalla caduta di Gheddafi in poi tutti gli interventi per salvaguardarlo hanno avuto l’effetto contrario, e hanno finanziato gruppi integralisti di ogni genere. Questo per la mancanza di servizi di intelligence efficienti, e il livello infimo di quei pochi politici italiani che seguono la politica estera, o fingono di farlo come Salvini o la Serracchiani, che non è capace assolutamente di tacere su problemi che non conosce.

La sicurezza a breve scadenza non è ottenibile. Lo ammette lo stesso Prodi, che vorrebbe delegare all’ONU almeno una missione esplorativa, per avere un quadro degli schieramenti possibili, per ascoltare i rifugiati libici in Egitto o in Tunisia (complessivamente un milione e mezzo di cittadini che ovviamente non si riconoscono negli schieramenti attuali). Le sue dichiarazioni contro l’intervento militare hanno allarmato e reso più prudente Renzi, che sa bene che Prodi non è un pacifista ma solo uno dei pochi che conoscono quel che accade sulla “Quarta sponda”, e anche le scarse possibilità di collocare un intervento sotto le bandiere dell’ONU, dopo averlo iniziato.

Una spedizione anche circoscritta (soli o male accompagnati) farà solo danni aggiuntivi, perché la sicurezza può essere assicurata solo da un ordine giusto, in tutta l’area, non da una guerra più o meno “umanitaria”. E un ordine giusto e che assicuri prima di tutto un livello di vita decente alla popolazione libica e a quella che vi è stata sospinta dalla crisi profonda del continente e del Medio Oriente, non è nei programmi di nessuno degli attori oggi sulla scena. 

 

Postilla

Che in Libia dilaghi la barbarie è indiscutibile. L’esecuzione di 21 lavoratori egiziani colpevoli solo di essere cristiani copti, è solo una delle manifestazioni di quel che è possibile in un paese in cui è stato distrutto ogni potere legittimo. I 21 erano andati come tanti altri egiziani in Libia semplicemente per lavorare, e non immaginavano certo di poter diventare assurdamente e senza colpa alcuna i simboli di una crociata antislamica. In Egitto la cospicua minoranza cristiana copta, non era il risultato di una recente conquista “crociata” o di conversioni indotte da missioni neocoloniali, ma semplicemente il residuo di un antichissima comunità cristiana che era maggioritaria fino alla conquista islamica. Non certo definibili “apostati”, e abituati nel loro paese a una relativamente tranquilla coesistenza con l’Islam, fino alla recente comparsa di piccoli gruppi integralisti che hanno cominciato a perseguitarli in vario modo, ignorando del tutto la storia comune di tanti secoli. Un atteggiamento assurdo e barbarico, ma innescato e risvegliato dai toni da crociata antislamica sempre più frequenti sulla stampa occidentale. Anni fa l’adesione di Calderoli alla provocazione antislamica delle vignette blasfeme aveva provocato moti a Bengasi, repressi da Gheddafi nel sangue. Quanti altri innocenti dovranno ancora morire in assurdi incendi attizzati da irresponsabili criminali che scherzano con il fuoco?

 

Foto: Jorge_Viturbio.net/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

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