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Irlanda, verde speranza laica

In pochi anni la “cattolicissima” Irlanda ha vissuto una straordinaria evoluzione civile e un deciso processo di secolarizzazione. Economia dinamica e società ormai lontana da quell’immagine bigotta, meschina e ipocrita tratteggiata in maniera pungente da James Joyce agli inizi del Novecento. Un elemento fondamentale — non a caso uno dei temi della narrativa del noto scrittore — è la soffocante pervasività della Chiesa cattolica.

Qualcosa è cambiato nella sensibilità irlandese, specie dopo l’emergere dello scandalo pedofilia che ha fatto crollare l’autorevolezza della Chiesa. Nel 2015 il referendum per introdurre i matrimoni tra persone dello stesso sesso ottiene più del 62% dei voti. Viene eletto nel 2017 come primo ministro Leo Varadkar, esponente del Fine Gael (partito di centro-destra liberale). Per la prima volta il taoiseach è dichiaratamente omosessuale e tra l’altro di padre indiano: è Varadkar a sostenere riforme laiche, su temi come aborto e scuola. Nel maggio scorso, con il 66% dei voti, passa anche l’abolizione del divieto costituzionale sull’aborto, che nel 1983 era stato blindato nella carta fondamentale con analogo referendum.

Un dibattito acceso da tempo, quello sull’interruzione di gravidanza, portato all’attenzione dell’opinione pubblica da casi scandalosi come quello di Savita Halappanavar, morta dopo che le era stato negato l’aborto terapeutico in ospedale. Persino la visita della popestar Bergoglio ha avuto risposte meno calorose del previsto, ed è stata accolta da proteste. L’esecutivo irlandese capeggiato da Varadkar rende operativa l’abolizione della discriminatoria baptism barrier, ovvero la selezione all’entrata nelle scuole (in particolare primarie, quasi tutte in mano alla Chiesa cattolica) che esclude i non battezzati.

Uno degli ultimi tasselli del confessionalismo irlandese è la blasphemy clause, ovvero la dispo­si­zione costi­tuzio­nale che sanziona l’offesa alla religione. L’articolo 40 della Costituzione punisce dal 1937 la pubblicazione o l’espressione di affermazioni “blasfeme, sediziose o indecenti”. Proprio questa norma sarà oggetto di referendum il 26 ottobre, in concomitanza con le elezioni presidenziali. Una commissione per la riforma costituzionale, tra le varie raccomandazioni, si espresse nel 2014 per la rimozione del riferimento alla blasfemia. L’associazione Atheist Ireland si è attivata da tempo per l’abolizione.

Da anni le organizzazioni laico umaniste si battono per superare in tutto il mondo il reato di blasfemia. La International Humanist and Ethical Union (IHEU), di cui l’UAAR fa parte, ha lanciato negli anni scorsi la campagna End Blasphemy Laws e, di recente, il progetto di raccolta fondi e sensibilizzazione “Protect Humanists at Risk”, pensato per porre i riflettori sulla salvaguardia delle persone che rischiano la vita e l’incolumità per aver espresso idee laiche. Anche l’UAAR, in collaborazione con l’IHEU, dedicherà una giornata alla difesa del diritto di non credere, con alcuni eventi il 7 novembre a Roma.

 

In Irlanda la situazione non è di certo drammatica, ma il reato d’opinione su questioni religiose teoricamente ancora esiste. Nel 2009 è stato infatti introdotto il Defamation Act, che formalizza le pene anti-blasfemia: fissa una multa fino a 25mila euro per sanzionare offese a qualunque religione. Ma essere accusati di blasfemia in Irlanda non è un’eventualità così remota. Tanto che nel 2017 partì un’investigazione della polizia, poi risoltasi in un nulla di fatto, per dichiarazioni dell’attore Stephen Fry, dichiaratamente ateo, risalenti al 2015.

Fry, durante un’intervista per il programma The Meaning of Life, andata in onda sulla tv pubblica irlandese RTÉ, aveva fatto commenti paradossali su Dio, evidenziando il problema della teodicea. Rispondendo alla domanda del conduttore Gay Byrne su cosa avrebbe detto a Dio se l’avesse avuto davanti, Fry definì l’essere divino con epiteti quali “capriccioso, meschino e stupido”, “pazzo”, “egoista”. Apriti cielo! Uno spettatore, scandalizzato, aveva presentato un esposto, ritenendo un “dovere civico” sanzionare quella che percepiva come blasfemia.

Sebbene nessuno sia stato indagato per blasfemia in Irlanda, a parte il caso di Fry, ci sono sensate ragioni per cancellare questo reato in un paese civile, anche come gesto simbolico. Nel solco dei recenti progressi sul fronte dei diritti civili, anche il governo si è attivato per l’abolizione, fissando la data della consultazione. Persino il ministro della Giustizia, Charlie Flanagan, ha parlato di questo referendum come di un “passo importante” per il paese, portando all’attenzione che in diversi paesi la blasfemia è ancora purtroppo un reato: “togliendo tale disposizione dalla Costituzione, siamo in grado di inviare un messaggio forte al mondo, cioè che le leggi contro la blasfemia non riflettono i valori irlandesi e che non riteniamo che tali norme debbano esistere”.

Siamo lontani anni luce dal confes­siona­lismo identitario che impaz­za in Italia e dall’ossequio dei politici verso la religione (cattolica). Non a caso sono ancora tabù blasfemia e vilipendio alla religione, tuttora sanzionati dal nostro ordinamento seppure in forma più lieve rispetto al passato: nessuno osa metterli in discussione, come se dietro l’angolo ci fossero orde demoniache pronte a bestemmiare appena rotti gli argini.

Certo, il dibattito sulla blasfemia in Irlanda non è stato acceso come per temi sensibili come nozze gay e aborto. Sull’abolizione del reato c’è una generale convergenza di conservatori e laburisti e della società civile, con poche eccezioni. Persino la Chiesa cattolica e quella anglicana locale non fanno polemiche, ritenendo quel reato ormai inattuale, mentre solo qualche esponente della comunità islamica si è espresso per mantenerlo in nome della “coesione”. I sondaggi danno una stretta maggioranza a favore del referendum, mentre una quota intorno al 20% si oppone.

Forse questo poco clamore è positivo: segno di un silenzioso buonsenso che si afferma in una società aperta, matura e civile. Anche tra i cristiani irlandesi, meno ossessionati da una sindrome da assedio e meno avvezzi a crociate in nome della tradizione. Basti pensare a figure come Tiernan Brady, omosessuale dichiarato e cattolico praticante, che è stato tra i promotori in Irlanda delle nozze gay. Mentre l’Italia appare sempre più ripiegata su se stessa e incattivita, l’Irlanda può fornire ispirazione per affermare una società più laica, plurale e ottimista.

Valentino Salvatore

Questo articolo è stato pubblicato qui

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