Iraq, la voce degli ayatollah
Non hanno nulla da perdere. Lo gridano, lo rivendicano i manifestanti di Baghdad, Nassirya, Bassora e adesso che i morti salgono ufficiosamente a più di cento, mentre il ministero dell’Interno non conferma né smentisce e soprattutto non offre cifre ufficiali, le piazze non recedono dalla protesta che prosegue ormai da sei giorni. Il premier Adel Abdul Mahdi è in difficoltà, dice di non poter far miracoli, ma guida da un anno e mezzo un governo che non ha cambiato l’andamento delle precedenti gestioni, tutte accusate di emarginazione della componente sunnita, di ruberie e corruzione.
Vista la determinazione dei contestatori il partito di Muqtada al-Sadr, Saeroon, che sosteneva pur con riserva il governo, ora si smarca e oltre allo sciopero generale chiede apertamente le dimissioni d’un premier che dal contenimento della protesta è passato alla repressione feroce, visto che diverse vittime sono state colpite da cecchini. Oltre a denunciare una cronica carenza d’investimenti e lavoro, bassi salari nei casi di manodopera primaria, le voci intervistate in questi giorni da Al Jazeera denunciano diffuse condizioni di sopravvivenza a 5-6 dollari al giorno e dicono: “Vogliamo che l’attuale leadership irachena sia posta sotto processo per l’abbandono e la mancanza di servizi verso gli strati più umili” che, nonostante le risorse petrolifere di cui la nazione dispone, risultano in caduta libera.
Enrico Campofreda
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