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Iran, rischio di esecuzione per un prigioniero curdo

Ramin Hossein Panahi (a sinistra nella foto), 22 anni, curdo-iraniano, rischia di essere messo a morte in tempi brevi. Della sua vicenda, in occasione di una precedente annunciata esecuzione poi sospesa, avevamo parlato qui a giugno.

Panahi è stato condannato a morte nel gennaio 2018 dopo essere stato giudicato colpevole di appartenenza al gruppo Komala e di “insurrezione armata contro lo stato”, accuse che ha sempre negato.

Nei giorni scorsi, Panahi è stato trasferito da Sanandaj – il capoluogo della provincia del Kurdistan iraniano – alla prigione Rajaee Shahr nella città di Karaj, a ovest della capitale Teheran e a centinaia di chilometri di distanza dai suoi familiari. Potrebbe essere il prologo dell’esecuzione.

Fonti giudiziarie hanno dichiarato ai familiari di Panahi che il trasferimento a Karaj si è reso necessario per fornire al detenuto le cure mediche necessarie a risolvere dei problemi renali.

Una spiegazione strana, hanno ribattuto gli avvocati del detenuto, dato che a Sanandaj gli ospedali sono assai meglio attrezzati.

Le Nazioni Unite, le organizzazioni iraniane per i diritti umani e Amnesty International hanno sollecitato le autorità di Teheran a non procedere all’esecuzione, sottolineando l’irregolarità del processo – svoltosi in assenza di un avvocato di fiducia – e i maltrattamenti e le torture subiti da Panahi dopo l’arresto.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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