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 Home page > Tribuna Libera > Invidia omicida: il caso Manta - De Santis

Invidia omicida: il caso Manta - De Santis

L'anomalia criminologica dell'omicidio di Eleonora Manta e Daniele De Santis a Lecce è normale per i tempi che stiamo vivendo, benché sia "una rarità nel panorama della criminologia locale". Ecco perché.

Il 21 Settembre Eleonora Manta e Daniele De Santis sono stati uccisi a Lecce nella loro abitazione: il 29 Settembre Antonio Giovanni De Marco, fermato il 28 Settembre, ha confessato la propria responsabilità.

Sulla scena del crimine gli inquirenti hanno individuato i segni di "un'indole particolarmente violenta, insensibile ad ogni richiamo umanitario" come anche di un "mero compiacimento sadico nel provocare la morte della giovane coppia". I media e i commentatori considerano anomali questi tratti — e li amplificano proprio per sottolinearne l'enormità — ma l'insensibilità e il compiacimento caratterizzano la nostra era, soprattutto nei social media, dove possiamo recuperare innumerevoli esempi di aggressività, di violenza verbale e di persecuzione, nei flame, nei troll, nei ban, ecc. (tutte immagini medievali trasferite nel cyberspazio), che significano una diffusa incapacità di entrare in contatto con le emozioni e con i sentimeti — con i problemi — altrui.

Molti a Lecce hanno udito le urla disperate delle vittime e hanno anche visto l'assassino allontanarsi, ma nessuno è intervenuto, e una sola persona ha avuto l'accortezza (purtroppo inutile) di telefonare ai Carabinieri per segnalare la violenza che stava occorrendo presso i suoi vicini di casa: del resto l'omicidio di Willy Monteiro Duarte (il 6 Settembre scorso) insegna che è meglio non immischiarsi, come ha intuito Giuseppe Conte quando ha espresso la sua preoccupazione per il significato sociale di quell'altro omicidio.

Nel libro Violenza ↔ Società (2019) avevo provato a spiegare le funzioni della violenza, i significati profondi che essa esprime e tramite cui si pone a fondamento della collettività civile, che ricorrono anche in questo caso. Il procuratore di Lecce ha intuito che "l'omicidio doveva essere una rappresentazione anche per la collettività", con ciò esplicitando le funzioni profonde dell'omicidio, che per l'assassino è un modo come un altro per esprimere idee e sentimenti che non saprebbe esprimere altrimenti. E l'incapacità di conversare intorno alle proprie emozioni — di dirle e di spiegarle, anziché limitarsi a viverle — è una caratteristica tipica dell'Occidente contemporaneo. Quando il procuratore di Lecce dichiara che "l'assenza di un movente ha rappresentato una grossa difficoltà iniziale nelle indagini perchè senza un movente è difficile capire qual è la pista da seguire" esplicita un nodo centrale della nostra società: l'incapacità o almeno la difficoltà di esprimersi, e l'incapacità o la difficoltà di capirsi reciprocamente; soprattutto per le generazioni più giovani (Antonio Giovanni De Marco ha 21 anni), assuefatte a ricevere ricompense immediate tramite un click.

Benché il procuratore leccese abbia rappresentato che la vicenda "è una rarità nel panorama della criminologia locale", gli omicidi apparentemente immotivati sono una costante della criminolgia attuale perché "dicono" ciò che le persone non sanno più esprimere a parole, pretendendo di essere compresi senza dover dire (come farebbero le intelligenze artificiali) — e che conseguentemente la società non riesce a comprendere e a interpretare.

L'omicidio leccese svela un fenomeno già intercettato da Sherry Turkle nel libro La conversazione necessaria (2015): cioè la diffusa incapacità di comprendere e di esprimere criticamente le proprie emozioni da parte delle generazioni più giovani, con la conseguente incapacità di provare empatia nei confronti degli altri, perché i (new) social media promettono di farlo al posto nostro: si mettono in mezzo alle nostre relazioni (come intermediari anziché mediatori) per facilitarle, ma privandoci della capacità — dell'abilità e della competenza — di farlo in prima persona. Una competenza che dovremmo recuperare tempestivamente, sul serio.

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