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 Home page > Attualità > Economia > Investimenti tra Pil e Spread: il giorno della marmotta

Investimenti tra Pil e Spread: il giorno della marmotta

Ricordate l’imbarazzante scena del balcone di Chigi, quando i nostri eroi riuscirono a piegare il braccio dietro la schiena al povero Giovanni Tria, e portare il deficit-Pil al 2,4%? 

Quella, sì. Quel 2,4% doveva servire a mettere in moto i moltiplicatori keynesiani che, attraverso reddito di cittadinanza e Quota 100, con annesse assunzioni anch’esse moltiplicate (“tre nuovi assunti per ogni pensionato ed in omaggio un set di pentole, venghino!”) avrebbero permesso all’Italia di sollevarsi dalle sabbie mobili in cui si trova. Come è finita, lo sappiamo. Ma non è finita, in realtà.

Quando apparì chiaro che le due misure-bandiera erano state sovradimensionate rispetto alla domanda effettiva, il più lesto a mettere mano al “tesoretto” di deficit così creato fu l’ineffabile Luigi Di Maio, dietro regia del loquace e visionario presidente keynesian.sovranista Inps, Pasquale Tridico: “useremo per le famiglie quello che avanzerà”, sentenziò l’infaticabile vicepremier. Inammissibile che “i bambini francesi abbiano il triplo degli aiuti, quando nascono”. Di Maio puntava ad una imponente iniziativa pro-natalista, di quelle che erogano qualche decina di euro per i pannolini, nell’attesa che ciò induca un boom demografico.

“In alternativa, dateci flessibilità per gli investimenti”, era la richiesta, di quelle in cui alla voce investimenti finisce di solito di tutto, soprattutto spesa corrente. Tanto, non è quel risparmio di un miliardo che fa la differenza sui conti pubblici, disse Giggino nel classico mood in cui “offro io, pagate voi, mi voglio rovinare!”

 

Come è finita anche quella, lo sappiamo. Risparmi (o meglio, minor deficit) sequestrato da Tria e usato per comprimere il deficit-Pil verso quel famoso livello del 2%. Che, incidentalmente, ora rappresenta una stretta fiscale, visto che nel frattempo la crescita si è azzerata. Ma la cosa è stata taciuta al Popolo Sovrano, perché nel frattempo c’era da trionfare alle elezioni europee e piegare le cancellerie continentali al Verbo del Deficit che venne dal paese alla deriva in mezzo al Mediterraneo. Fatto!

Come è finita anche quella, lo sappiamo. Nel frattempo, però, anche grazie alla singolare disciplina fiscale italiana, sia pure di pessima qualità e che ipotecherà il nostro futuro, e grazie all’ennesimo whatever it takes di Mario Draghi, i rendimenti dei titoli di stato sono crollati, e il futuro improvvisamente ci appare abbagliante.

Pensate, lo spread italiano è sceso addirittura sotto i 200 punti base, oggi siamo a circa 190. Un successo senza precedenti del Governo Del Cambiamento, non c’è dubbio. Erano partiti da circa 120 ma nel mezzo c’è stata una durissima lotta contro la speculazione che cercava di divorare il nostro meraviglioso paese. Stiamo lavorando per il Popolo, pancia a terra, avanziamo come treni, non arretriamo di un millimetro, e così spero di voi. A morte i Benetton, viva AliAtlantia.

Negli ultimi giorni, il dibattito di politica economica languiva. Pensare a dover “disinnescare” (come dicono i nostri artificieri sovrani) solo 23 miliardi di Iva, oltre ad altre cosucce per un totale di una quarantina di miliardi, era una noia mortale. Anche questa “flat tax del ceto medio”, con sette aliquote, airbag, sbrinatore automatico e dispenser di condoni freschi stava diventando occasione per sbadigli.

Quando ecco, improvviso, l’uno-due pentastellato. Dapprima l’abolizione del canone Rai, compensato con aumento dei tetti pubblicitari, perché insomma siamo servizio pubblico, eccheccazzo. E stamane, l’altro coniglio uscito dal cilindro del giovane e brillante statista di Pomigliano: il tesoretto dello spread!

Ebbene sì, lo spread scende, siamo sotto ai valori indicati in legge di bilancio 2019. Quindi, per definizione, c’è una copertura a cui “attingere”, pensò Di Maio. Se abbiamo il tesoretto dello spread, perché non abolire il bollo auto? Eh? Eh? Che dite? Non è geniale, tutto ciò? Ebbene sì, è geniale. Silvio sarebbe stato orgoglione dei pentastellati, rimangiandosi i duri ed affrettati giudizi sul loro conto.

Abbiamo la copertura, siamo morigerati, attingiamo tra derivate seconde del deficit ed altre arcane tecnicalità. “Mi ritengo un tecnico”, del resto, è ormai un marchio di fabbrica ed una garanzia.

E il Popolo Sovrano festante si dava pacche sulle spalle, congratulandosi per aver portato finalmente alla guida del paese persone dotate di simile geometrica potenza nella produzione pressoché quotidiana di stronzate nuove meravigliose idee per alleviare le ambasce degli italiani, così duramente percossi dal Fato e dallo Straniero.

In queste iniziative di Di Maio c’è tutta la grande e nobile tradizione politica italiana. Quella che punta a far raggiungere la felicità al Popolo liberandolo di “due odiosi balzelli”, il canone Rai e il bollo auto. In pratica, è il remake del “Giorno della Marmotta”, col simpatico animaletto che infaticabilmente incarta qualcosa che, ad un esame più attento, non pare esattamente cioccolato.

Nulla ci è precluso: basta avere davanti la faccia come il posteriore e dietro un fiero popolo di analfabeti funzionali.


Addenda (plurale di addendum, non difetto di pronuncia da inflessione dialettale) – Qui leggete quel sant’uomo di Dino Pesole che spiega very politely perché l’ultima idea di Di Maio è purissimo bullshitting. E qui sotto vedete Di Maio mentre spiega (al minuto 3:00 circa) che a noi in Europa serve un commissario alla Concorrenza, per permetterci di concedere più aiuti di Stato alle nostre imprese. Tutto perfettamente coerente con quanto scritto sopra, no?

 

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