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Intolleranza religiosa? No, legittimo esercizio del diritto di critica

In ambito sociologico si parla di discriminazione quando, partendo da una classificazione per identità omogenee, una certa categoria di persone viene stigmatizzata, trattata come inferiore o addirittura privata di alcuni diritti.

 In altre parole si viene discriminati quando si incontrano ostacoli o si hanno ricadute negative per via della propria identità. La prima identità che viene in mente è quella etnica, non a caso il cosiddetto “razzismo” è diventato col tempo quasi sinonimo di discriminazione sociale, ma com’è noto esistono identità basate sul genere, sulla religione, sulla cultura, sull’orientamento sessuale, sull’orientamento politico, sul ceto e così via. La domanda a questo punto è: si può affermare che tutte queste identità sono analoghe e che quindi è lecito definire intollerante o “qualcosofobo” chi le critica? La risposta è no; Paul Russel ha cercato di spiegare perché nel suo articolo The limits of tolerance.

Russel parte da una corretta distinzione tra due diverse tipologie di identità: quelle di genere ideologico, o caratterizzate da un sistema di valori, e quelle che invece sono per così dire congenite, nel senso che non possono in alcun modo derivare da scelte operate dall’individuo. In quest’ultimo caso l’avversione equivale certamente all’intolleranza perché non può essere ammissibile una critica, ad esempio, alle persone di colore piuttosto che alle donne per il semplice fatto che nessuno sceglie di nascere tale. Lo si nasce e basta, non c’è quindi nulla criticare ma solo da prendere atto. Al contrario, sebbene l’identità religiosa o politica sia naturalmente influenzata dal contesto educativo e sociale, alla base di queste c’è un sistema ideologico che si può scegliere di abbandonare e che, essendo facoltativo, deve poter essere oggetto di critica. Questo principio non viene praticamente mai messo in discussione quando si tratta di confrontarsi politicamente, a meno che non si sia in un regime dittatoriale, mentre viene sistematicamente, e indebitamente, disatteso quando l’argomento in discussione è di tipo religioso.

L’identità religiosa viene sovente assimilata alla stessa categoria di identità a cui appartengono l’etnia e il genere, dunque non ideologica, ma questo assunto è del tutto errato per una ragione molto semplice: negare il diritto di criticare una religione o una concezione del mondo diversa dalla propria rappresenta di per sé una forma di intolleranza. Come altrettanto lo è imporre una dottrina o una pratica perfino a qualcuno che aderisce alla propria stessa confessione, e sotto questo punto di vista nell’articolo in questione non si lesinano frecciate a quella che viene definita “nuova sinistra”, che in altre parole differirebbe dalla vecchia concezione di sinistra politica per aver sostituito al concetto di fraternità, riferito per definizione agli individui, un multiculturalismo su base religiosa/culturale pertinente al gruppo identitario che andrebbe tutelato a prescindere.

Gli stessi gruppi religiosi pronti ad affibbiare l’etichetta di intollerante a chiunque metta in discussione quello in cui credono non esitano poi, per convenienza, a operare all’inverso classificando come ideologiche altre identità allo scopo di poterle criticare, ammettendo così di fatto che le ideologie non solo possono ma devono essere passibili di critica. È il caso dell’orientamento sessuale, spesso indicato non come caratteristica genetica ma come scelta precisa, fino a coniare definizioni arbitrarie come “omosessualismo” o ideologie tout court come il “gender”. Un altro esempio è quello del sionismo, difeso spesso dalle critiche con l’argomentazione che i detrattori sarebbero nient’altro che degli antisemiti; in questo caso è l’identità ideologica a essere in qualche modo “deideologizzata” e spostata in un ambito differente.

Ovviamente, come sempre, non è possibile operare classificazioni rigide. L’intolleranza religiosa esiste, c’è poco da fare, e ricondurre tutto alla legittima facoltà di critica sarebbe parimenti sbagliato. Un conto è usare definizioni anche colorite e perfino esecrabili per ridicolizzare un’ideologia avversa, un’altra è minacciare una persona per via della sua diversa concezione del mondo. In entrambi i casi c’è un pregiudizio alla base, ma non tutti i pregiudizi hanno pari importanza. Anche tra categorie differenti, perché se è vero che un pregiudizio verso le donne è inammissibile, lo è altrettanto che un pregiudizio verso un determinato gruppo religioso, dai cristiani agli scientologisti, è allo stesso tempo lecito e a sua volta criticabile. Finché non travalica i limiti sfociando appunto nell’intolleranza.

Anzi, proprio la distinzione tra identità ideologiche e non ideologiche ci viene in aiuto quando si tratta di avere a che fare con piani diversi di intolleranza. Basti pensare alla facilità con cui si dà dell’islamofobo a chiunque contesti la dottrina musulmana anche quando questa è apertamente misogina. In questo caso abbiamo una identità ideologica perfettamente criticabile e perfino condannabile, checché ne dicano i destinatari, e un’altra non ideologica da tutelare il più possibile. Stessa cosa quando un cristiano lamenta discriminazioni perché gli si impedisce di discriminare a sua volta gli omosessuali; è vero esattamente il contrario, nel senso che proprio gli omosessuali vanno tutelati in quanto identità non ideologica, non i cristiani che portano una bandiera ideologica.

Massimo Maiurana

Questo articolo è stato pubblicato qui

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