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Intervista a Lucio Musolino

Lucio Musolino è un giornalista calabrese minacciato dalla mafia e licenziato dal suo giornale. Il suo appello è stato accolto da Annozero, ll programma di Michele Santoro in onda su Rai Due.

Il 19 luglio l’ex direttore Paolo Pollichieni si è dimesso. Nel suo editoriale di addio ha fatto riferimento ai poteri forti della Calabria che hanno risposto alla scelta del giornale di pubblicare alcuni atti sui rapporti tra ‘ndrangheta e politica.

Il tentativo degli editori di ingerenza nella fattura del giornale non poteva essere accettato da Pollichieni. Con lui si sono dimessi anche altri 8 bravi colleghi. Io avevo deciso di restare nella speranza di avere sempre la stessa libertà di scrivere. Una decina di giorni dopo una bottiglia di benzina è stata lasciata all’interno del mio cortile accompagnata da una lettera di minacce con cui qualcuno mi invitava ad andarmene dal giornale. Con l’arrivo di Sansonetti, alcuni miei articoli sono stati censurati, altri ancora modificati. E poi i tentativi non riusciti di trasferirmi prima a Lamezia Terme e poi a Catanzaro. Fino ad arrivare al licenziamento.

 

Pensi che la decisione di Sansonetti sia stata una decisione presa indipendentemente o pensi che il tuo ex direttore sia stato condizionato da un fattore esterno che potrebbe essere la politica o, visto l’ argomento di cui ti occupi, la ‘Ndrangheta stessa?

Il direttore Sansonetti ha dichiarato pubblicamente che non è stato lui a licenziarmi ma è stata una decisione degli editori. Mi stupisce il fatto che non sia stato informato della scelta di epurarmi. Lui, però, aveva proposto i miei trasferimenti e stabilito quali pezzi dovevano essere censurati. Sempre Sansonetti all’Ansa ha annunciato una querela nei miei confronti semplicemente perché avevo confermato il trasferimento a Catanzaro disposto dopo la mia partecipazione alla trasmissione “Anno Zero”. Non avevo mentito e il licenziamento “via fax” pochi giorni dopo è stata la conferma che l’obiettivo degli editori e del direttore era quello di allontanarmi da Reggio.

 

Giovedi ad Annozero, Mentana ha lanciato una proposta... E’ stata solo una provocazione verso il suo ex giornale o ci sono stati altri contatti tra lei ed il direttore?

Ho stima del direttore Mentana. Dico solo questo perché sulla sua proposta preferisco non rispondere.

 

Lucio, quando e perché hai deciso di combattere la mafia?

Io non ho deciso di combattere la mafia. Ho semplicemente svolto il mio lavoro di giornalista con correttezza. E questo, in una regione come la Calabria, a volte è un qualcosa che stona con il contesto in cui viviamo. Non mi sento un eroe, ma semplicemente vorrei continuare a raccontare i fatti. Sono questi che fanno paura alla ‘ndrangheta come a tutte le altre associazioni mafiose del paese.

 

Quali cambiamenti ha portato questa scelta nella tua vita?

Quando si raccontano i fatti spesso si resta soli. Ti ripeto non ho scelto di combattere la mafia ma semplicemente di fare il mio lavoro. Ne pago le conseguenze con la consapevolezza che sto facendo la cosa giusta. Sarebbe stato più facile mettermi sotto l’ala protettrice di qualche politico potente e, magari guadagnare dieci volte quello lo stipendio di redattore in un giornale rinunciando a raccontare cosa succede nella mia città e nella mia regione. Non avrei, però, più avuto il coraggio di guardarmi allo specchio e di considerarmi un giornalista. La notizia è una cosa. La propaganda è un’altra. 

 

Cos’ è la ‘Ndrangheta? Perché è rimasta così misteriosa, con pochi pentiti, con i suoi riti secolari uniti però ad un incredibile senso per il progresso e per gli affari, soprattutto nell’ hig tech e nel traffico di droga?

La ‘ndrangheta è la più potente organizzazione criminale. Ha i suoi aspetti arcaici ma, negli anni, è riuscita a diventare la prima organizzazione al mondo. Ci sono decine di inchieste della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria che dimostrano come le cosche della Locride sono le uniche capaci di trattare direttamente con i narcos del Sud America. Gli ‘ndranghetisti, oggi, hanno abbandonato la coppola, hanno studiato e vestono in giacca e cravatta. Alcuni di loro, infine, siedono nei palazzi della politica.

 

E’ colpa di una politica nazionale e locale poco attenta alle esigenze della tua terra, di una magistratura che in passato non è riuscita a cogliere il potere di quest’ organizzazione o è un problema di mentalità, in cui i giovani scelgono la criminalità per convenienza?

Penso un po’ entrambi. Di certo lo Stato ha preferito per anni non combattere la ‘ndrangheta lasciando quest’impegno solo alla magistratura e alle forze dell’ordine. Negli anni novanta, il pool della Dda ha ottenuto importanti risultati nella lotta contro la mafia. Mi riferisco alle operazioni “Olimpia”, “Valanidi”, “Zappa”, “Santa Barbara”, “Porto”. Anche adesso, con la stagione del procuratore Giuseppe Pignatone, la Dda di Reggio ha inferto durissimi colpi alla ‘ndrangheta. Adesso si attende che le indagini facciano luce sui colletti bianchi e sui rapporti con la politica.

 

Sei d’accordo quando Gratteri afferma che non basta convincere i giovani che a diventare mafiosi non è conveniente, servirebbe piuttosto piantare in loro il seme della legalità? Come potremmo piantare questo seme e come soprattutto farlo crescere?

E’ importante far capire ai giovani che diventare mafiosi non conviene. Stimo il procuratore aggiunto Nicola Gratteri per il lavoro che sta facendo. Non solo come magistrato ma anche come educatore. Incontra spesso i ragazzi nelle scuole per sensibilizzarli. Lui dice sempre che i garzoni di ‘ndrangheta resteranno sempre garzoni di ‘ndrangheta e non potranno mai diventare boss come invece avviene per i figli dei capicosca. Nella migliore delle ipotesi, i garzoni moriranno in carcere se non morti ammazzati con la moglie a casa a prendere psicofarmaci.

 

Parlavamo prima di politica... Quali sono i nomi dei politici collusi con la mafia? Abbiamo fatto passi avanti nelle indagini della Dda?

Oggi la Dda si trova a un passo dal fare luce sui collegamenti tra ‘ndrangheta e politica. Nelle recenti inchieste “Meta” e “Crimine” emergono i primi nomi dei politici sui quali proseguono le indagini. In un’informativa del Ros è emerso che l’ex sindaco di Reggio Giuseppe Scopelliti (oggi governatore della Calabria), con la scorta pagata dai contribuenti, ha partecipato assieme a molti consiglieri comunali a una pranzo invitato dall’imprenditore arrestato Domenico Barbieri. Lo stesso pranzo a cui ha partecipato il boss Cosimo Alvaro, oggi latitante. Incontro al quale lo stesso Scopelliti ha confermato di aver preso parte ai microfoni del “Fatto Quotidiano”. Proprio con Alvaro aveva rapporti un consigliere comunale del Pdl, Michele Marcianò. I due sono stati intercettati mentre discutevano di tessere di Forza Italia e di posti di lavoro. E sempre di posti lavoro discutevano il consigliere comunale del Pdl Manlio Flesca con l’imprenditore Barbieri. Al centro dell’intercettazione un pacchetto di 200 voti in cambio dell’assunzione in una società mista della moglie dell’indagato per associazione mafiosa. Cosa che è realmente avvenuta stando a quanto accertato dal Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri. In un’inchiesta della Procura di Milano, inoltre, è finita anche un’informativa in cui si descrivono incontri tra il governatore della Calabria Scopelliti e Paolo Martino, condannato per mafia e ritenuto il punto di riferimento della cosca De Stefano nel nord Italia.

Poche settimane fa, infine, dall’inchiesta “Epilogo”, coordinata dal sostituto procuratore della Dda reggina Giuseppe Lombardo, è emerso che il consigliere comunale di maggioranza Tonino Serranò è stato filmato da una telecamera dei carabinieri mentre maneggia una pistola con un indagato ritenuto vicino alla cosca Serraino. La stessa cosca sospettata di aver organizzato l’attentato del 3 gennaio alla Procura generale.

 

Pensi che l’azione del governo aiuti le forze dell’ ordine e le procure nella lotta alla mafia o le ultime leggi che il governo ha promosso tendano invece a rallentare le indagini?

Le indagini le fanno i magistrati, i latitanti li arrestano i carabinieri e la polizia. Il tutto con carenza di organici e risorse, a dispetto dei tentativi del governo di arrogarsi il merito dei risultati.

Negli ultimi mesi si parla tanto del lodo Alfano e del problema delle intercettazioni. Non penso che, con queste leggi, il governo abbia l’obiettivo di combattere la ‘ndrangheta.

 

Arriviamo alla parte finale dell’ intervista... Come si vince questa guerra, perché di guerra si tratta, contro la criminalità organizzata?

Non ho la ricetta per vincere questa guerra. Sarebbe sufficiente che ognuno faccia il suo lavoro correttamente. Di certo è una guerra che deve essere considerata tale anche a Roma e non solo dai bravi magistrati che lavorano in riva allo Stretto. Fin quando il governo centrale considera la mafia come un problema regionale non si andrà da nessuna parte. Se è pur vero che la Calabria è la regione in cui è nata la ‘ndrangheta, è altrettanto vero che le cosche investono al nord Italia. Rifacendomi alle parole dell’ex sostituto procuratore della Dna Enzo Macrì, "Milano è la capitale della ‘ndrangheta".

 

Ciancimino ad Annozero disse di respirare di nuovo quell’aria che rimandava alle stragi degli anni passati. Poi sono riprese le minacce verso di te, verso Pino Maniaci, verso Gratteri, Saviano, Pignatone... Più i giorni passano e più mi rendo conto che stiamo entrando in una spirale di violenza che prima o poi potrebbe sfociare in un qualche fatto di sangue... Cosa ne pensi?

Non è un bel periodo. Spesso si annunciano imminenti attentati e l’aria che si respira è la stessa di quella che ha preceduto omicidi eccellenti in Calabria come a Palermo. Mi riferisco all’omicidio Ligato del 1989, all’omicidio Fortugno del 2005 ma anche alle stragi di Capaci e via D’Amelio. Allora come adesso è il primo sintomo di una zona grigia che sente l’arrivo delle inchieste. Il mafioso lo mette in conto di trascorrere una decina d’anni della sua vita in carcere. Il mafioso è abituato a essere raccontato sui giornali. A Reggio non è solo ‘ndrangheta, ma una miscela esplosiva composta da mafiosi, politici, massoni e servizi deviati.

 

Quale appello vorresti lanciare a tutti i giornalisti che vorrebbero intraprendere la tua strada?

Ho tanto da imparare da questo lavoro per cui non penso di essere in grado di dare consigli ai colleghi. Occorre non piegare la schiena. Questo sì.

 

Con questa domanda precedentemente posta chiudo l’ intervista, facendoti da parte di AgorVox i migliori auguri per il futuro che speriamo sia migliore per tutti...

Grazie a voi per l’intervista…

Commenti all'articolo

  • Di Gian Carlo Zanon (---.---.---.122) 2 novembre 2010 16:51
    Gian Carlo Zanon

    Conoscevo i fatti, ed esprimo tutta la mia solidariretà a Musolino che ha avuto la sfortuna di incontrare sulla sua strada Sansonetti. L’ex direttore di Liberazione era famoso per mischiare nel suo giornale sesso estremo ( inserto Queer) e evangelizzazione cristiana come se niente fosse. Poi diventato direttore de l’Altro organo di Sel arrivò a far pubblicare articoli che erano praticamente apologia alla pedofilia. Sul quotidiano Terra il 6 ottobre2009 fu pubblicato un’appello contro il giornale diretto da Sansonetti con diversi firmatari tra cui Marco Bellocchio, per fermare questo giornalismo criminale. Ora il caro Sansonetti è riuscito a mettere tra le sue passioni anche la ‘ndrangheta; non mi meraviglia più di tanto e sono convinto che per uno come lui ci sarà una lunga durata in quel giornale in mano alla criminalità organizzata.
    Forse questa volta Sansonetti ha trovato la sua dolce casa.

  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.1) 2 novembre 2010 21:10
    Damiano Mazzotti


    Di giovani e di giornalisti come Musolino forse ce ne sono di più di quello che pensiamo...

    Se riuscissimo a far entrare delle nuove leve nelle attuali classi dirigenti forse l’Italia potrebbe trovare la forza di cambiare...

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