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(In)ter(per)culturando: appunti parziali di ’scritture animali’

La collana ‘scritture animali’ diretta da Giorgio Vasta e Dario Voltolini per duepunti Edizioni debutta a ottobre 2010 e si distingue subito per veste, dimensione e macro tematica.
 
La veste è quella dei piccoli libri. Leggerissimi. Realizzati con inchiostri ecologici e carta riciclata al 100% con copertine stampate su carta 100% riciclata e fatta a mano da escrementi di elefante (al tatto ruvida, porosa). Una veste dal sapore dell’originalità impegnata, che fugge dal glamour luccicante e liscio delle grandi casi editrici. In ogni copertina un animale e un colore dominante entro una grafica comune.
 
Le dimensioni per l’appunto quelle d’un palmo umano aperto. Leggerissimi. Chi li rintraccia in libreria, tra scaffali e tavoli, rischia di scambiarli per cataloghi o nemmeno li vede se non li afferra. Le pagine sembrano sfuggire, quando le si apre, rese relativamente fragili dalla rilegatura vincolata alla caratteristiche tecniche.
 
La macro tematica, invece, che dà il nome alla collana, permette agli autori di non legarsi a un genere preciso men che meno a uno standard narrativo. In definitiva cosa sono le ‘scritture animali’ lo si potrà capire probabilmente fra qualche anno o a collana chiusa. Attualmente, le cinque uscite enunciano l’intendo di narrare di-con-per-attraverso animali secondo l’individualità di ogni autore. Rischiosa, questa macro tematica, e allo stesso tempo con potenzialità che possono sorprendere laddove la creatività dell’autore ci gioca, si svincola dall’atteso verso l’insospettabile.
 
A questo punto però, coi libri in mano, dopo averli annusati, carezzati, sbirciati, il lettore potrebbe chiedersi: “perché dovrei leggerli?”, prima ancora: “perché dovrei comprarli?”
 
Il prezzo (sei euro in copertina, attualmente li si trova scontati anche sul sito dell’editore a quattro euro e ottanta centesimi con l’aggiunta di tre euro come contributo unico per le spese di trasporto) non sembra a prima vista favorevole all’acquisto. A tenerli in mano, così piccoli e leggeri, sei euro – comunque un prezzo lontanissimo da ogni edizione di piccola o grande editoria – non convince subito (se non si rintracciano i riferimenti ai materiali riciclabili usati).
 
La lunghezza di queste storie sembra assimilarli alle letture veloci, quelle che si esauriscono in fretta, adatti magari a chi ha poco tempo o poca voglia di impegnarsi in trame complesse e centinaia di pagine in formati enormi. Sembra assimilarli a quella tipologia di libretti usa e getta, che si perdono in borsa o in tasca, si leggono in viaggio o in una pausa forzata e se poi non si ritrovano più, poco male, se ne comprano altri.
 
In realtà, proprio per le caratteristiche brevemente enunciate in precedenza questi piccoli libri sono una prova interessante e rischiosa, per autori ed editore. Una prova che sin dalla veste indica un percorso teso all’impegno, a una sorta di ‘qualità sostanziale’ non facilmente identificabile a parole ma quasi materiale, in questi libri, nel momento in cui li si sfoglia aleggia.
 
Certo, già i nomi coinvolti sono indicatori. Vasta e Voltolini come direttori di collana ma anche gli autori fin ora pubblicati (Giuseppe Genna, Davide Enia, Mario Giorgi, Giulio Mozzi, Nicola Lagioia). Si potrebbe azzardare la definizione di scritture da digerire. Ed è probabilmente questa la caratteristica emersa fin ora che li rende potenzialmente interessanti e rischiosi.
Lo spazio è poco, il tempo per colpire il lettore altrettanto.
Ecco allora che tutto s’affida alla scrittura, alle storie, ai narrare.
Approcci. Stili. Toni. Modi e maniere. Voci.
Alla capacità dell’autore di colpire, non necessariamente con effetti speciali, ma declinando il concetto verso quel particolare talento che afferra il lettore in un habitat inusuale e se lo trascina tra animali e lingue risputandolo fuori dopo un’apnea più o meno lunga (certi lettori hanno le branchie, altri muovono il corpo più in fretta, leggendo).
 
Ciò premesso i piccoli libri di ‘scritture animali’ hanno già ottenuto a metà dicembre numerose recensioni e commenti positivi da parte degli addetti ai lavori in senso ampio tra la carta stampata e il web. Ma l’ambiente letteratura-editoria che combatte e si auto-alimenta a un certo punto deve fare i conti con i lettori. In quest’ottica non sembra facile prevedere gli effettivi riscontri non solo commerciali quanto proprio di gradimento (sottintendendo anche la comprensione o la voglia di capire prima ancora che apprezzare o meno).
 
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Una città violenta, contenuta in un mondo peggiore. Ma il primo motore immobile, il nucleo duro e cieco da cui si sprigiona l’energia distruttiva resta un piccolo tinello, un corridoio, tre camere da letto e un bagno con vista tangenziale: settanta metriquadri consacrati alla coazione familiare e alle ultime rate della Mercedes del padrone di casa.
(incipit di ‘Fine della violenza’ di Nicola Lagioia)

Gli animali di mio padre sono tutti morti.
Nella casa vecchia
Avevano una stanza tutta per loro,
una stanza strana:
si accedeva solo dal giardino
e non aveva finestre. Un ripostiglio
enorme, con vecchi scaffali di metallo verniciato in grigio o in blu
(andavano molto negli anni Settanta)
ereditati dagli inquilini precedenti.
(incipit di ‘La stanza degli animali’ di Giulio Mozzi)
 
Lagioia affidata ora alla pubblicazione la terza versione, “da considerarsi la forma definitiva” precisa lo stesso autore nell’ultima pagina di questo racconto scritto originariamente nel 2004. Una storia dove il protagonista narra di un ‘qualcosa’ camuffato da ‘vita’ dove Diana, la gatta, sembra essere l’unico essere capace di andare oltre il respirare del narratore-protagonista, della sua famiglia e di ogni altro essere umano attorno.
 
Avere a che fare con un essere capace di spargere intorno a sé ordine e decoro senza la spinta di un rimprovero, disorienta mia madre. Il gatto sembra custodire il misterioso congegno della propria armonia in un anfratto dei suoi più primitivi ragionamenti, un meccanismo anteriore alle raccomandazioni di mia madre, le quali appassiscono e muoiono nel giro di una settimana.
(pag. 34 – Fine della violenza)
 
Mozzi se ne frega delle strutture. Alterna tessuti poetici a prose artigianalmente composte. Mischia le parole come carte tra le mani abili del baro, forse bara anche lui, forse no. La stanza degli animali esiste o è qualcos’altro, qualcosa che si deforma, sfalda, cade e si ricostruisce sotto gli occhi del lettore in ogni nuova riga. Comunque sia, in questa stanza e altrove in questo piccolo libro il Male è.
 
Tutta questa felicità
è ormai perduta.
Tutte queste favole
sono perdute.
 
Nella stanza degli animali, ad occhi aperti, ho fatto un sogno:
(pag. 30 – fine capitolo 4 - La stanza degli animali)
 
Non so se il mio vicino sia vivo o morto.
(pag. 31 – inizio capitolo 5 - La stanza degli animali)
 
 
Sconsigliati a chi ha qualche euro in più, in tasca, e crede di cavarsela con un libro piccolo da leggere d’un fiato. Sconsigliati anche a chi cerca una storia in cui entrare e uscire in fretta, da raccontare per alimentare conversazioni facili e leggere. Sconsigliati a chi ha bisogno di rilassarsi.
 
Suggerirli a tutti può sembrare automatico (piccolo prezzo, piccole dimensioni, poche pagine, veste meno consueta, plausi dalla recente critica, impegno nel rispetto per la natura, animali a far capolino), ma non sono per tutti.
E nella tensione linguistica, stilistica, d'un <come> narrare, si gioca la partita comune del restare.

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