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(In)ter(per)culturando Read&Listen: ’Oltre le parole’ di Luca Giachi

Ci sono libri che quando li inizi ti accorgi di non voler smettere dopo le prime pagine. E non perché si tratta magari del tuo genere preferito o perché è del tuo autore preferito o sei certo che se non lo leggi sei out (se è ‘di moda’, se è un ‘best seller’, ‘se ne parlano in tv': vuoi proprio rimanerne fuori? Eh no, proprio no): per nessuna di queste ragioni. Non vorresti smettere di leggere perché c’è qualcosa che ti ha sfiorato, un‘atmosfera, un personaggio, una voce, un dialogo, un luogo… quel ‘qualcosa’ che ti ha fatto entrare nella storia.
 
Con ‘Oltre le parole’ di Luca Giachi (Hacca edizioni, novembre 2007, pag. 242, euro 14) mi è successo proprio questo.
 
Preciso subito, a scanso di banali equivoci, che non si tratta di un ‘romanzo d’amore’ rispetto alla definizione standard: l’amore c’è, ci sono tanti sentimenti, legami, ed emozioni ma Giachi non racconta di un ‘lui’ e una ‘lei’ che dopo varie disavventure si scoprono, s’innamorano e alla fine, dopo altri ostacoli, ‘vivranno per sempre felici e contenti’.
 
C’è una storia di amore, quella tra Federico e Nadia ma i contorni sono sfocati perché tutto quello che sanno i protagonisti è che i due si sono scritti lettere inequivocabili nel 1977, lettere che sono state ritrovate in una Fiat500 gialla ‘piovuta dal cielo’. Sì, l’auto impatta improvvisamente sull’asfalto davanti ad Alessia e sul posto, per i primi rilevamenti della Polizia, arriva anche Matteo che dopo la laurea sta prestando il servizio civile.
 
Sono dunque loro, una ventiseienne e un ventottenne, i protagonisti di questo romanzo che – a modo loro – ricostruiscono angoli di mondo probabilmente noti all’autore (classe’77, romano) dove c’è spazio per il precariato bidirezionale ovvero quello imposto da talune realtà lavorative quanto quello cercato per driblare scelte precise sul proprio futuro. Ma ci sono anche i sentimenti complessi e sfuggenti di un’età in cui tutto è ancora da definire, si cerca, si cambia idea ma a volte si è anche già disposti ad assecondare ‘seconde scelte’ pur di non dover fare i conti con la propria solitudine come per Alessia che ha una relazione fissa con Andrea pur avendo già perso (se mai l’ha avuta) quella scintilla, quell’entusiasmo che s’associa all’amore (con la ‘a’ maiuscola).
 
Un plot fondato dunque su un accadimento surreale (la fantomatica Fiat500 gialla che irrompe senza che né il narratore né i personaggi si preoccupino di dare spiegazioni plausibili, non importa in effetti, perché è ciò che si scatena dopo col ritrovamento delle lettere che determina gli sviluppi sulla trama principale) e ‘giocato’ su due piani, quello passato da scoprire rispetto alle vite di Nadia e Federico che all’inizio non hanno volto né corpo ma arrivano direttamente dalle vecchi lettere ritrovate; e quello del presente ‘in continuos’ della narrazione principale dove Matteo e Alessia incrociano i loro vivere dapprima per risolvere il mistero attorno alle lettere, ma gradualmente sono le loro stesse vite che finiscono al centro di diversi ragionamenti e ammissioni.
 
Giachi ha la capacità di entrare in punta di piedi, con una scrittura fluida, immediata e garbata, ricca di dialoghi anche lunghi e spesso poco visivi che raccontano delle dinamiche comunicative di questi personaggi e lo fanno senza filtri.
 
La sensibilità, a mio avviso non poi così comune, di Giachi sta nel toccare corde anche profonde e di farlo all’improvviso, con una frase o una battuta diretta senza poi soffermarsi su cerebrazioni o masturbazioni intellettuali infinite.
 
Il romanzo è scritto con un ritmo ‘intermedio’ più spesso teso a imporre un preciso tempo che non è la corsa veloce perché, pur avendo avvenimenti, virate e svolgimenti, è ‘come’ lo vivono i protagonisti che determina quel ‘surplus’ nell’approccio di Giachi.
 
Non è un romanzo ‘perfetto’ (ammesso che esistano anche tra i c.d. grandi classici), ha mantenuto alcune sbavature nel plot dove alcune inquadrature perdono di credibilità per dettagli non del tutto precisi con il reale in cui si narra (specialmente rispetto alla gestione del servizio civile di Matteo o il lavoro di Alessia). I dialoghi, già sopra citati come elemento portante del narrare e del tratteggiare i personaggi, sono – a mio avviso – fin troppo presenti, avrebbero potuto essere ridotti, dando più respiro al narratore. Infine anche taluni capitoli, specie nella parte centrale, risento di qualche parola di troppa a rallentare eccessivamente gli sviluppi.
 
Lo consiglio perché è adatto a diversi momenti della giornata, si rischia di volerlo finire tutto in una volta ma può essere letto anche frammentariamente senza perderne effettivi elementi perché l’approccio e le atmosfere spennellate da Giachi sono una costante in ogni pagina. E lo consiglio anche perché è un libro scorrevole, dall’apparenza veloce e facile, ma che – a tradimento – va a grattare alcune profondità dell’animo umano.
 
 
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Link
La scheda del libro sul sito della casa editrice.
 
 
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Immagine scattata da Bg.

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