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In Sicilia occidentale la Despar era “Cosa Nostra”

Il tribunale di Trapani condanna a 12 anni di reclusione l’imprenditore castelvetranese Giuseppe Grigoli, ritenuto "imprenditore mafioso" e cassiere del superboss latitante Matteo Messina Denaro, condannato a 27 anni. Confiscati beni per oltre 250 milioni di euro.

Una sentenza storica che assesta un colpo durissimo a Matteo Messina Denaro, attesa dagli inizi di dicembre, rinviata una prima volta agli inizi di gennaio, per poi essere finalmente pronunciata ieri, aggiunge finalmente un importante capitolo giudiziario sui rapporti tra imprenditoria e mafia gattopardesca nati dalla svolta strategica impressa da Bernardo Provenzano a partire dagli anni '90, con l'inabbisamento e l'imprenditorializzazione delle attività dei clan mafiosi, dopo l'arresto di Totò Riina.

Quella che emerge dalla vicenda giudiziaria di Giuseppe Grigoli è la fotografia della vera e propria mafia imprenditrice. Non più un rapporto tra servo e padrone, né sulla convenienza, basato sullo scambio finanziario con le imprese ed originato dai capitali frutto del narcotraffico. E' una mafia che fa egemonia, che adatta le regole a suo vantaggio, che si innerva nel tessuto economico e nelle professioni, in una trama di relazioni complici con la politica ed il sistema finanziario. L'istantanea di un sistema omertoso condiviso fino ai livelli più alti della società. Una mafia che costruisce il suo consenso non rinunciando mai al deterrente della violenza, e che sfoggia invece della lupara i titoli di studio di "uomini d'affari" e professionisti che frequentano i circoli che contano.

Al cuore di questa strategia la grande distribuzione alimentare ed i centri commerciali, le lavatrici delle imponenti quantità di denaro che la mafia incassa dal traffico di droga, veri e propri passepartout per stabilire alleanze imprenditoriali con le aziende del nord, collettori di fondi pubblici e privati, di consenso clientelare, di vere e proprie politiche commerciali di scala sui territori, dove le piccole imprese vengono obbligate ad entrare nel "sistema" per non soccombere. Un capitalismo di rapina, basato sul disprezzo assoluto delle regole, a danno degli imprenditori onesti.

Giuseppe Grigoli, Top Manager della sua società, la Grigoli Distribuzione srl, a capo di una holding di controllate, tra cui la 6 G.D.O. Srl, il cui capitale sociale passò da poche decine di migliaia di euro a 12 milioni e mezzo di euro nel 2006, era il cavallo di Troia di Matteo Messina Denaro per entrare nel circuito della grande distribuzione, con la quale i commercianti vengono legati a Cosa Nostra in mondo consensuale, sostituendo all'odioso "pizzo" l'obbligo di rifornirsi di merci, a prezzi a volte vantagiosi, presso le proprie aziende di fornitura. Nel tempo Giuseppe Grigoli ha ottenuto anche l'utilizzo del marchio Despar, arrivando a controllare fino a 60 tra ipermercati e supermercati sparsi per tutta la Sicilia occidentale, nelle province di Palermo, Trapani ed Agrigento, la cui gestione, è stato accertato durante il processo, era condotta da uomini vicini alla mafia.

La vicenda di Giuseppe Grigoli, conterraneo di Messina Denaro, è tanto banale quanto esemplare. Nella metà degli anni '70, forse per avere protezione, entra nel giro della mafia dopo l'incendio della sua piccola attività commerciale. Invece di denunciare alla Polizia si rivolse alla mafia. E' così che inizia una storia che, nel corso degli anni, lo ha portato a diventare prima prestanome e poi complice dell'ultimo dei supercapi di Cosa Nostra, anche se forse sarebbe meglio chiamare l'organizzazione la “Super Cosa”, un livello ancora superiore ad una mafia che non ha più niente a che vedere con quella dei “viddrani” corleonesi dell'inizio anni '60.

Grigoli finì nel radar della magistratura inquirente dopo l'arresto di Bernardo Provenzano, l'11 aprile 2006, catturato dopo una latitanza di 43 anni, quando tra i pizzini rinvenuti nel covo a Montagna dei Cavalli nei pressi di Corleone, firmati da Messina Denaro, fu appurato che il boss catelvetranese aveva chiesto a "ziu binnu u tratturi" che Grigoli venisse esonerato dal pagamento del pizzo e di dirimere una controversia con Giuseppe Falsone per un mancato pagamento di forniture, in quanto era “cosa sua”.

Ma ad incastrare l'imprenditore anche le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, tra cui Maurizio Di Gati, a capo del mandamento di Sciacca, che ha dichiarato ai magistrati "Ricordo che Giuseppe Falsone e Giuseppe Capizzi (gestore di un punto Despar a Ribera) avevano provato a chiedere il pizzo per questi supermercati ma Leo Sutera si oppose. Disse che non si poteva chiedere soldi a Matteo Messina Denaro, che era un suo amico e che tutti sapevano gestiva di fatto i supermercati. Chiedere il pizzo a Grigoli significa chiederlo a Matteo Messina Denaro. "E poi che facciamo: la mattina ci guardiamo allo specchio e ci sputiamo in faccia?"

Sempre Di Gati, nel febbraio 2007, raccontò ai magistrati di un incontro tra i boss avvenuto in provincia di Agrigento, nella zona di Palma di Montechiaro, il 23 maggio 2002, "Nella riunione, appresi per la prima volta che i supermercati Despar erano di questo Grigoli che, sostanzialmente, altri non era che Messina Denaro Matteo stesso. Sutera spiegò inoltre com'era il meccanismo di gestione dei supermercati. In pratica il Grigoli metteva la merce e l'azienda chiavi in mano e bastava avere un locale per spartirsi il guadagno".

A parlare della Despar, nell'estate del 2008, anche il collaboratore di giustizia Francesco Franzese, affiliato ai Lo Piccolo: "I Lo Piccolo mi dissero che i centri Despar non dovevano essere toccati in quanto interessavano alla famiglia, mentre cosa diversa era per i singoli negozi affiliati che molte volte erano solo piccole attivita' con insegne Despar(...) I Despar interessavano direttamente a Matteo Messina Denaro».

Al momento dell'arresto, il 19 dicembre del 2007, la Dia ha sequestrato a Grigoli, ed alla moglie, i titoli del 10% della Despar Italia S.p.A., 12 società, 220 tra palazzine e ville, 133 terreni per un totale di 60 ettari, conti correnti, macchine in quantità, 3 Porsche ed uno yacht di 25 metri ormeggiato a Viareggio.

La condanna di Giuseppe Grigoli potrebbe però aprire la strada ad altre inchieste giudiziare sulla Despar anche in altre regioni, in Calabria ed in Campania, dove ad esempio la G.D.S. srl, con sede a Salerno, finì nella relazione annuale sul fenomeno della 'ndrangheta della commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare presiedetuta dall'on. Francesco Forgione. Nella relazione si legge infatti che socio della G.D.S. srl "è anche Salvatore Michele Scuto, figlio di Sebastiano Scuto che ha precedenti per associazione per delinquere di tipo mafioso e secondo la Direzione Nazionale Antimafia verosimilmente affiliato alla potente famiglia mafiosa dei Laudani di Catania".

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