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 Home page > Tempo Libero > Musica e Spettacoli > Il trio americano di Ai Kuwabara al Blue Note di Tokyo

Il trio americano di Ai Kuwabara al Blue Note di Tokyo

Da sempre nel cuore degli appassionati di musica giapponesi, ancora in forma a 73 anni già compiuti, Steve Gadd ha effettuato un tour nel Sol Levante prima con la sua Band, un quintetto passato per l’Italia in primavera, trovando poi il tempo per due serate al Blue Note di Tokyo, quale membro del trio americano della giovane pianista e compositrice giapponese Ai Kuwabara, classe 1991.

Assisto al primo dei due canonici set, in un locale stipato come non mai. La pianista, assai ciarliera, contenta ed emozionata per avere al suo fianco un musicista così famoso come Steve Gadd, oltre al bassista elettrico Will Lee, approfitta dell’occasione per ricordare l’uscita, l’anno scorso, del CD con questo trio, il quinto dei sette licenziati in totale dal 2012 al 2018.

E il concerto inizia proprio col brano di apertura del CD, “Somehow it’s been a rough Day”, scritto da lei. È uno swing orecchiabile in tempo medio. Colpisce in Gadd il fatto che usi una doppia coppia di spazzole per ogni arto. È attento allo spartito e sarà così per ogni brano. Chiama il tempo per “How do you keep the music playing?”, scritto da Michel Legrand per il film “Best friends” del 1982. È una ballad pericolosa, perché gli strumenti armonici, pianoforte e basso elettrico, indulgono in sdolcinatezze. Will Lee, affascinato da Jaco Pastorius, cerca di riprodurne il timbro utilizzando uno strumento a sei corde.

Si arriva poi ad un brano che non si vorrebbe mai ascoltare, se esposto in tale maniera. È una medley tratta dalla colonna sonora del film brasiliano “Orfeo negro”. Il primo ascolto è “A felicidade”, cantata da Lee in portoghese con il tipico accento anglosassone, assai fastidioso in questo caso. Si continua con “Manha de Carnaval” e, come fanno spesso bassisti e chitarristi, Lee, contemporaneamente al fraseggio strumentale, emette le medesime figurazioni con la voce. La medley si conclude con “Samba de Orfeu” e qui casca il palco. Nel senso che il samba, anziché essere eseguito secondo un modello di samba brasiliano o di Latin-Jazz, si trascina stancamente, ricordando quelle orchestrine amatoriali o semiprofessioniste, impegnate nel repertorio per l’ultimo dell’anno. Stupisce che Gadd si adegui a un simile andamento, lui che è così presente nel web con lezioni di samba-funky.

Mancano ancora quattro pezzi, più l’immancabile bis, alla fine e già mi metto a guardare l’orologio. È che volevo rivedere Gadd dopo tanto tempo. Purtroppo il concerto è insulso, noioso, manca quell’energia interiore che lo farebbe decollare. C’è una forza fisica, almeno in Kuwabara, introdotta dai media come “Genius Girl”. Ho la sensazione che più che suonare il piano, lo percuota con veemenza, disattenta alle dinamiche.

Il set si concluderebbe con “Blue Rondo a la turk”, di Dave Brubeck, un pezzo che alterna un tempo di 9/8 ed uno di 4/4, apparso nel 1959 in “Time out”, il disco di maggior successo, che lanciò il pianista. Gli applausi della platea, orgogliosa del successo della giovane compatriota, inducono il trio ad un bis. Kuwabara sceglie una sua composizione, “The Back”, che conclude, nona traccia, anche il CD citato. È una ballad lenta in cui ritornano in primo piano le spazzole di Steve Gadd. In un’età più che matura, sfrondate le eccessive figurazioni, il batterista americano, dimostra la sua intelligenza ed una padronanza sia ritmica, che timbrica, che rendono l’ascolto piacevole e confidenziale.

 

Foto: Takuo Sato

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