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Il punto sulla Spagna: Galizia e Paesi Baschi non spostano gli equilibri nazionali

Due settimane fa, le elezioni regionali in Galizia e Paesi Baschi che hanno visto trionfare, senza troppe sorprese, il Partito Popolare e il Partito Nazionalista Basco.

Il 12 luglio, in Spagna, si sono tenute le elezioni regionali in Galizia e nei Paesi Baschi. Non ci sono state particolari sorprese nei risultati. Alberto Núñez Feijóo del Partito Polare è stato infatti riconfermato per la quarta volta Presidente della Galizia, aggiungendo un tassello alla lunga serie di vittorie dei popolari nella regione. Allo stesso modo non stupisce la vittoria nei Paesi Baschi di Iñigo Urkullu del Partito Nazionalista Basco.

Quelle di domenica 12 erano le prime elezioni dall’inizio di una crisi sanitaria che proprio negli ultimi giorni ha ripreso vigore, segnando, nella sola giornata di venerdì, ben 1.111 casi positivi in Catalogna. Solamente mercoledì 15 luglio la Camera bassa del Parlamento aveva approvato lo stanziamento di altri 16 miliardi di aiuti per le comunità autonome, per un totale pari a circa il 5% del PIL, ma quanto accaduto negli ultimi giorni ha riacceso la sirena d’allarme e la necessità di nuovi investimenti nel sistema di controllo e tracciamento.

A ben vedere, anche prima del deterioramento della situazione in Catalogna, ci si aspettava che le votazioni venissero ulteriormente rinviate (in origine avrebbero dovuto tenersi ad aprile). Invece non c’è stato nessun rinvio, ma una rigida applicazione delle misure di sicurezza. Quindi, tra mascherine obbligatorie, distanziamento sociale, comizi elettorali virtuali e capienza dei seggi limitata, quasi tutti sono andati a votare, ad eccezione di circa duecento galiziani positivi al Covid-19, ai quali è stato nei fatti impedito di votare. O meglio: avrebbero potuto farlo per posta, certo, ma nessuno era in possesso di un elenco di questi elettori. Siamo di fronte ad un caso inedito dal punto di vista costituzionale. Certo, altrettanto inedita è l’emergenza che stiamo vivendo, ma ciò non sminuisce l’importanza di questa limitazione al diritto di voto.

Tuttavia, oltre a questo unicum, vi sono alcuni aspetti interessanti di queste elezioni che vale la pena sottolineare. E questa volta non riguardano i vincitori, ma i vinti. Iniziamo con i dati della Galizia, dove il presidente Feijóo si è confermato ancora una volta con il 47,98% conquistando 41 seggi. A seguire troviamo il Bloque Nacionalista Galego con il 23,8% e 19 seggi: una crescita imponente rispetto all’8,36% del 2016. Infine, ecco il PSOE galiziano con il 19,38% e 15 seggi. A rimanere fuori dal Parlamento c’è Podemos e soprattutto Vox. Il risultato di Vox è particolarmente eloquente poiché si insinua nella strategia moderata di Feijóo che ha rifiutato i toni aggressivi ai quali il leader nazionale del PP, Pablo Casado, aveva deciso di cedere. Questo ha portato molti osservatori a definire la conquista della Galizia una vittoria esclusiva di Feijóo, mentre a livello nazionale rappresenta una sconfitta per l’idea di alleanza tra PP e Vox. Insomma: potrebbe essere interpretata come un segnale che la destra per vincere non ha davvero bisogno di mostrare il fianco all’area populista e sovranista. A sinistra, invece, il fallimento di Podemos non fa altro che evidenziare la crisi del partito (e probabilmente della sua leadership), vittima delle sue guerre intestine. La coalizione En Marea con Podemos e le altre realtà di sinistra aveva ottenuto il 19,1% nel 2016. Oggi, invece, presentandosi divisi, nessuno di questi partiti è riuscito ad entrare nel parlamento. Stessa sorte per Ciudadanos che ormai scompare dai radar con un misero 0,75%.

 

DATI – CONFRONTO 2016


La pessima performance di Up si è ripetuta anche nei Paesi Baschi. Qui si è passati dal 14,86% del 2016 all’attuale 8,03%. Ovvero da oltre 157mila voti a poco più di 71mila. Un consenso praticamente dimezzato. Al contrario, crescono ancora i partiti regionali. Il PNV raggiunge il 39,12% (quasi due punti percentuali in più rispetto al 2016) ed EH Bildu passa dal 21,26% del 2016 al 27,84%. Anche qui il PSOE si trova in terza posizione e in lieve crescita (si va dall’11,94% della scorsa tornata elettorale al 13,64%).

Volendo contestualizzare questo risultato alla luce del consenso storico dei partiti regionali, si potrebbe interpretare come un segnale di tenuta del governo di Sánchez, ma sembrerebbe più saggio spogliare questo voto di qualsiasi significato validante per l’esecutivo nazionale. Invece, ciò che il voto in Galizia e nei Paesi Baschi dimostra più chiaramente è la volontà di allontanarsi dai partiti più populisti o radicali. Il movimento attuale sembrerebbe così dirigersi verso altri lidi, più moderati e forse visti come più sicuri, ma che tutto ciò possa rivelarsi un’effettiva tendenza generale, è ancora da dimostrare.

Allora, dirigiamo lo sguardo verso la situazione nazionale, dando un’occhiata alle intenzioni di voto.

Le intenzioni di voto di luglio appaiono stabili. Il PSOE guadagna lo 0,3% rispetto a maggio e si mantiene al 28,1%. Il PP di Casado rimane al 24,1%, al momento senza oscillazioni. Vedremo più avanti se la vittoria del suo “avversario” interno al partito, Feijóo, avrà delle conseguenze anche sulle intenzioni di voto. Vox rimane terza forza politica. Il calo dello 0,3% che porta l’ultraderecha al 13,7% non sembra dunque sufficiente a correlare la brutta performance regionale con una tendenza nazionale. Unidas Podemos rimane sostanzialmente stabile (-0,1%) all’11,3%, mentre prosegue il record negativo di Ciudadanos che lascia per strada quasi un punto percentuale (0,8%) e tocca quota 6,7%.

Anche dal confronto con il voto di novembre, la situazione non sembra cambiare molto, ma ci sono delle note che rivelano la situazione di alcuni partiti. Così se il PSOE è praticamente stabile, il PP cresce del 3,3%, probabilmente a scapito di Vox che passa dal 15,1% all’attuale 13,7%. Infine, anche Podemos rivela una tendenza negativa: perderebbe un punto percentuale e mezzo rispetto all’ultima tornata elettorale e, dopo il risultato delle regionali, non può che essere davanti alla necessità di affrontare una vasta crisi interna.

 

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