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Il picco del petrolio è alle nostre spalle

L'ultimo rapporto dell'Agenzia Internazionale per l'Energia (IEA), il World Energy Outlook (WEO), afferma con decisione che il famigerato oil peak è stato raggiunto e superato già da qualche tempo. Secondo le analisi degli autori del WEO, il futuro è fatto di richiesta di combustibili fossili in aumento e di offerta che faticherà a mantenere i livelli di produzione attuali.

Nelle proiezioni pubblicate, l'offerta di petrolio si mantiene stabile solo grazie alla contabilizzazione di una grande quantità di petrolio "da scoprire" (in azzurro) e di pozzi da sviluppare (in grigio), mentre l'aumento della domanda è certissimo e sarebbe ancora maggiore se la produzione d'energia fosse abbondante e a buon prezzo. La teoria dell'oil peak, a lungo osteggiata e trattata come una fantasia molestia, prevede che prima o poi la produzione globale raggiunge un tetto massimo, mentre il diffondersi dell'industrializzazione e del consumo moltiplicano la domanda, determinando un regime di scarsità.

Avere il picco alle spalle significa quindi aver già imboccato la china, non è una buona notizia. Alla base del ragionamento c'è la teoria formulata nel 1956 dal geofisico americano Hubbert, da cui il nome di Picco di Hubbert. Teoria che vale per tutte le risorse finite e per quelle fossili e non rinnovabili in particolare, che nel caso del petrolio ha implicazioni epocali. Già se ne sono accorti diversi paesi, su tutti l'Indonesia, passata senza clamore dallo status di produttore associato all'OPEC a importatore netto di petrolio, perché i giacimenti indonesiani sono esauriti e non soddisfano nemmeno la domanda interna. I tempi ricordati dalle Petronas Towers non torneranno più e quello indonesiano è il destino inevitabile di tutti i paesi produttori.

I dati sui quali chiunque può fondare un proprio giudizio, confermano che in effetti la domanda d'energia e di petrolio è in aumento e si prevede che manterrà la tendenza anche nel futuro. Un altro dato certo è il progressivo esaurimento dei pozzi che oggi soddisfano l'80% della domanda attuale di fonti fossili, che ai ritmi d'estrazione attuale tra vent'anni produrrano un terzo di quanto producono oggi. Una realtà poco discussa pubblicamente, ma destinata a condizionare i prossimi anni, provocando grosse tensioni economiche, per non parlare delle prevedibili tensioni internazionali. Inutile dire poi che il maggiore utilzzo di fonti fossili fa a pugni con la necessità di ridurre le emissioni in atmosfera, ormai è chiaro da tempo che nessuna proposta di limitazione delle emissioni riuscirà a calmierare la domanda. Il rischio, in casi del genere, è quello di svegliarsi una mattina con il telegiornale che canta le magnifiche sorti del riscaldamento a segatura o simili soluzioni autarchiche, ma non si può certo chiedere attenzione e lungimiranza alle classi dirigenti dell'era del petrolio. Non resta che sperare nella prossima era post-petrolifera, nell'emergere di un modello di produzione energetica diffusa, che superi naturalmente la possibilità di costituire monopoli e cartelli.

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