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Il piano industriale Telecom, verso il disastro per i lavoratori

Continuiamo ad occuparci della vicenda Telecom, che vede coinvolti circa 55.000 lavoratori in Italia e altri 30.000 nel mondo. Lavoratori che in queste settimane stanno con il fiato sospeso a causa delle decisioni e delle tensioni interne al Consiglio di Amministrazione di questo colosso ormai in crisi.

Due giorni fa, Marco Patuano, Amministratore Delegato di Telecom Italia ha presentato il piano industriale 2014-2016. Un piano pieno di criticità, che non a caso ieri è stato accolto molto male dalle borse. Ma andiamo con ordine.

Come si sa Telecom Italia, pur continuando a fare cospicui profitti – parliamo di 2,777 miliardi di euro di flussi di cassa, che sono finiti in buona parte in cedole per i soci e dividendi per gli azioni, non certo una buona scelta per un’azienda chiamata a ristrutturare un grosso debito e i cui lavoratori hanno visto anche diminuire le loro retribuzioni – ha i conti in rosso.

Il gruppo di telecomunicazioni ha chiuso i primi nove mesi dell’anno perdendo circa 902 milioni, arrivando a un debito netto di 29 miliardi di euro, con le agenzie di rating che declassano in continuazione il suo titolo.
In queste condizioni, e con il fiato sul collo di Telefonica (la compagna spagnola che sta provando la scalata a Telecom, e che ha chiuso il suo terzo trimestre con un utile di 3,145 miliardi di euro), il piano industriale si è rivelato un tentativo di fare cassa che sa di “ultima spiaggia”.

Scartata la via di una ricapitalizzazione attraverso i soci, Patuano ha infatti annunciato:

  • un convertendo, ovvero la richiesta di un prestito straordinario da 1,3 miliardi, che sarà trasformato obbligatoriamente in azioni della società a novembre 2016. Una somma importante, che è pari a più del 10% dell’intero valore di mercato della stessa Telecom Italia, a testimonianza del grado di disperazione della dirigenza della compagnia. In ogni caso ieri mattina il collocamento del prestito obbligazionario si è concluso con “successo”, con il pessimo risultato che Telecom ora è ancora più dipendente da banche, fondi, grandi investitori;
  • 4 miliardi di dismissioni con “la cessione di Telecom Argentina, la vendita delle torri in Italia e Brasile”, oltre alla dismissione di immobili, già avviata con la vendita di un palazzo a Milano per 75 milioni. Operazioni in ogni caso da finalizzare nel corso del prossimo anno e non priva di rischi, nonché di violazioni dei diritti dei lavoratori, come si sottolinea in quest’articolo;
  • il congelamento del dividendo 2014;
  • la “separazione funzionale”, come ha affermato Patuano, “della rete”. Ancora una volta si affaccia cioè una proposta inutile, quella dello scorporo, che i lavoratori hanno già più volte respinto perché non dà garanzia sulla tenuta dei livelli occupazioni e sulla tenuta dei diritti e dei salari. La separazione della rete italiana dal resto del gruppo e il suo passaggio dentro una nuova società rappresenta infatti solo un incognita più che una possibilità di rilancio. Comunque l’accordo con la Cassa Depositi e Prestiti, la sola che potrebbe finanziare la rischiosa operazione, resta difficile a causa dei debiti di Telecom.

Il piano non è piaciuto né all’ASATI, l’associazione dei piccoli azionisti Telecom, né a Marco Fossati del gruppo Findim (ex-Star), che da settimane sgomita per contrapporsi a Telco (ormai a maggioranza spagnola). Fossati ha anche chiesto la convocazione di un’assemblea straordinaria, che si terrà a metà dicembre, per revocare l’attuale CDA del gruppo.

Ma la cosa più grave è che il piano non è piaciuto ai mercati. Telecom Italia, che è il sesto gruppo per fatturato alla Borsa di Milano, ha registrato ieri un calo sul listino di un sostanzioso -5,56, a dimostrazione di come il futuro della società, e dunque quello dei suoi lavoratori, che come al solito saranno i primi a pagare le conseguenze di questa situazione, sia alquanto incerto. Ma allora, prima che il disastro si materializzi, sarebbe il caso di ascoltare le proposte che proprio i lavoratori, che dell’azienda sono la vera ricchezza e che conoscono il settore meglio dei dirigenti, hanno elaborato.

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