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Il giorno nero del Pdl

Il giorno nero del Pdl

Il 4 maggio è stato senza dubbio nefasto per il Pdl. Una serie di eventi negativi sono caduti tra capo e collo alla maggioranza di Governo in un periodo che non è proprio dei più rosei per Berlusconi & Co.
 
Sembra così lontano il 29 marzo, quando a destra si festeggiava la vittoria delle elezioni regionali lasciando il centrosinistra a leccarsi le ferite e a cercare qualche giustificazione a una sconfitta che proprio non si aspettavano. Forse proprio quello è stato l’inizio della fine, quel 29 marzo, il giorno in cui la Lega ha raggiunto un potere mai avuto prima e ha cominciato a piazzare colpi importanti con la Chiesa, il giorno in cui Gianfranco Fini, che forse sperava in un risultato meno importante per il Pdl per poi andare a battere cassa ad Arcore, si è reso conto che o strappava o sarebbe stato schiacciato definitivamente dall’ego di un Berlusconi gongolante.
 
Quello è stato il giorno, poi da lì i fatti sono noti. La Lega continua nelle sue richieste che porta avanti da anni, ma che non arriva mai a chiudere nel pugno. Quel federalismo per il quale nacque (vabbè all’epoca la chiamavano secessione) e che dopo 20 anni stiamo ancora a discutere: di ieri l’ennesimo ultimatum di Maroni: “Se non si fa il federalismo tanti saluti e tutti a casa”. Aspettiamo. Poi nacque Generazione Italia, per volere di Bocchino, preludio alla tragedia familiare che si sarebbe compiuta da lì a poco, dalla lista di parlamentari che appoggiavano la critica interna di Fini, al faccia a faccia tra numero uno e due del Pdl, fino a quei panni che furono lavati in diretta tv, con un Berlusconi sul suo scranno a pontificare e criticare l’atteggiamento dell’ex An e quest’ultimo, stufo di essere sottomesso da un ruolo bipartisan, quello di Presidente della Camera che sembra essergli stato affidato proprio per zittirlo, che getta l’indice accusatorio verso il padre padrone, contro il cesarismo di cui era rimasto l’unico a non accorgersi all’interno del partito. E da lì, come ogni buon matrimonio andato a monte che si rispetti, gli screzi: Bocchino si dimette da vicecapogruppo alla Camera, creando scompiglio, i giornali di famiglia che si accaniscono contro tutto ciò che odora di An (da Fini e Bocchino fino a FareFuturo e Secolo d’Italia), e Fini che chiede la creazione di circoli della corrente minoritaria, in giro per l’Italia, fatta da giovani e volontari (l’immagine della Brambilla aleggia su di loro).
 
Ma ieri, ieri è stata una delle giornate più dure da affrontare. Dopo giorni di indiscrezioni su una casa con vista sul Colosseo comprata da Scajola a prezzi che neanche in un paesino sperduto del Lazio - i famosi 600mila euro che tanta ilarità hanno scatenato, rivelatisi poi solo una parte di quel milione e mezzo che in realtà costava e pagata a nero, dicono i verbali della Guardia di Finanza, da quell’Anemone conosciuto per i fatti del G8 – il Ministro ha dovuto dimettersi. Non reggeva più la scusa del “non sapevo” come abbiamo scritto ieri, troppo forte la domanda sul perché un imprenditore avrebbe dovuto pagare più della metà della casa di un ministro senza farglielo sapere, troppo deboli le scuse di Scajola che probabilmente non era al corrente dei prezzi delle case a Roma (un Ministro della Repubblica?). E così se dalla parte di chi lo difende (pochi ormai, dopo essere scaricato da parte della maggioranza) ci si chiede come è possibile che si siano lasciate tracce così evidenti di quel passaggio di denaro (80 assegni circolari) – senso di impunità? –, da quella di chi l’accusa c’è già chi nota come l’attenzione si sia spostata dalla luna verso il dito: in cambio di cosa - se i fatti venissero accertati, perché ricordiamo che Scajola non è indagato – ci sarebbe stato questo “favore”?
 
 
La giornata poteva anche finire qui, ma stando alla legge di Murphy che dice che se qualcosa può andare peggio lo farà, ecco che in una delle due regioni simbolo della vittoria alle ultime regionali, il Lazio, arriva una notizia che non deve piacere ai vertici del partito (e neanche alla base, ci giuriamo), ovvero le dimissioni del presidente della Provincia di Viterbo Marcello Meroi, che non aveva ancora avuto neanche la fiducia della Giunta, ma che ha trovato ostacoli ben più forti sulla sua strada. Le dimissioni annunciate già lunedì, ma presentate ieri “depositate nelle mani del segretario generale dell’ente, diventeranno operative dopo la comunicazione ufficiale al consiglio provinciale - leggiamo dall’Ansa -che dovrebbe riunirsi alla fine della prossima settimana. Dopodiché il presidente avrà 20 giorni di tempo per ritirarle o confermarle”. I problemi, nel partito dell’amore, sarebbero sempre quelli, ovvero le poltrone e la non facile convivenza con gli alleati dell’Udc, quindi se in quei 20 giorni non si troverà una soluzione politica i viterbesi dovranno tornare a votare.
 
Last but not least le indagini per truffa a carico del senatore del Pdl Giuseppe Ciarrapico, assieme al figlio Tullio e altre cinque persone. L’indagine per il magnate dell’editoria locale laziale riguarda i contribuiti all’editoria percepiti illecitamente dalle società editoriali che fanno capo proprio al parlamentare. I fatti contestati dal pm Simona Marazza fanno riferimento - è detto in un comunicato diffuso dalla procura e ripreso dall’Ansa - al periodo che va dal 2002 al 2007 e “per analoghi tentativi susseguitisi fino all’anno in corso, in danno dello Stato - presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria, da parte delle società editrici Nuova Editoriale Oggi Srl ed Editoriale Ciociaria Oggi Srl”. La Guardia di finanza di Roma, Nucleo speciale polizia valutaria, “ha eseguito oggi a Roma, Milano e altrove, decreto di sequestro preventivo fino alla concorrenza di importo equivalente al danno, su immobili, quote societarie, conti correnti e imbarcazione di lusso. Il sequestro ha riguardato beni riconducibili, attraverso intestazioni ritenute fittizie, al soggetto rilevato come effettivo proprietario delle società editrici”.
 
Sempre ieri Prosperini ha patteggiato (“un patteggiamento silenzioso, senza ammissioni”) per 3 anni e 5 mesi di reclusione per le vicende riguardanti accuse di corruzione, turbativa d’asta e truffa per un giro di tangenti nella promozione televisiva del turismo e per le quali era stato portato in carcere il 16 dicembre.
 
Ma fortunatamente a rendere più dolce la pillola al Partito di Governo ci pensa un Ministro, quello alle pari opportunità, Mara Carfagna che annuncia, in un’intervista a Chi che esce oggi, che si sposerà entro l’anno con Marco Mezzaroma dal quale desidera minimo due figli. Chissà che assieme alla volontà di Prosperini: “Per un po’ niente politica”, non sia l’inizio di una stagione nuova per il Pdl.

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