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Il gioco delle noci

A pochi anni dalla fine della seconda guerra mondiale e quando era ancora lontano da venire il periodo cosiddetto della modernità e del boom economico, i giochi e gli svaghi conosciuti e alla portata di tutti erano, invero, assai limitati.

Consistevano, più che altro, in formule di divertimento di antica ideazione, che si tramandavano pari pari da una fascia generazionale all’altra.
 
Tra essi, nei ricordi di chi scrive, occupa un posto di simpatia il gioco delle noci.
Era solitamente rispolverato e praticato in settembre, in concomitanza con la maturazione, l’abbacchiatura, la raccolta, la sbucciatura e l’essiccazione al sole di tali frutti.
 
Già, perché in paese, allora, le noci non si trovavano sul banco del negozio di “generi alimentari e diversi” (del resto, il solo esercizio esistente), ma erano reperibili ed acquistabili unicamente dalle poche persone che ne possedevano una pianta e che, riservandosi preventivamente una porzione dei frutti ad uso familiare, vendevano la rimanenza al dettaglio, in questo caso “al minutissimo dettaglio”, riuscendo così a raggranellare qualche gruzzolo a beneficio del bilancio domestico.
 
Di produttori/venditori, vengono in mente i nomi della comare L., della zia B. e della mamma C.

 
Ragazzi, adolescenti e giovanotti, quando avevano la disponibilità di piccole somme, si recavano nelle case o nei giardini di dette persone e comperavano modeste quantità di noci, il cui prezzo era di una lira per frutto.
 
Dotatisi così della materia prima, i medesimi, solitamente di pomeriggio, ma anche la sera sotto la fioca luce delle lampadine pubbliche del paese, gareggiavano nel gioco delle noci, che si teneva contemporaneamente in più posti dell’abitato e consisteva nell’allestimento di un filare orizzontale di 6 o 8 o 10 o 12 frutti, assiepati in piedi, in precedenza consegnati uno a testa dai partecipanti. Una volta allestito il filare, da una distanza predefinita, di 10 o 15 o 20 metri, ogni giocatore mirava verso quell’ insieme di frutti, lanciando nella sua direzione una noce scelta fra le più grandi, piene e pesanti, soprannominata non a caso palla, in dialetto “paddra”.
 
Non era per niente facile fare centro, specialmente quando regnava il buio: l’impatto o meno con il filare della posta in palio dipendeva dalla precisione e della forza del lancio, nonché dalla qualità della “paddra”. Condizioni valide pure ai fini della quantità di frutti che uscivano abbattuti e costituivano la vincita del giocatore.
 
I più bravi e fortunati accumulavano apprezzabili scorte di noci che, spesso, rivendevano agli altri gareggianti, riuscendo in tal modo a recuperare le lire spese inizialmente per la provvista e realizzando anche dei guadagni.
Il sottoscritto, senza falsa modestia, se la cavava bene nel gioco delle noci. 
 

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