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Il fiume "diventa" una persona

In Nuova Zelanda al fiume Whanganui vengono ufficialmente riconosciuti diritti e interessi, tutelabili in proprio tramite dei “tutori”.

Un corso d’acqua che si trasforma in una persona. Non si tratta della trama di un romanzo fantasy o di un inquietante sogno dopo essere andati a letto un po’ brilli. La notizia riguarda invece il riconoscimento come persona giuridica del fiume neozelandese Whanganui da parte del governo locale, avvenuta lo scorso agosto ma di cui solo da qualche settimana è giunta l’eco nel Vecchio Continente. Tale agreement si è perfezionato a seguito di una transazione dopo un ventennale contenzioso tra lo Stato e la comunità Maori che prende nome dall’omonimo corso d’acqua.

D’ora in poi Il Whanganui sarà rappresentato da due tutori, uno di nomina governativa e l’altro indicato dalla comunità rivierasca neozelandese. I due “umani” daranno voce al fiume in ogni occasione in cui si venga a creare la necessità di tutelarlo dalle attività degli uomini o da esternare le sue esigenze. Potrà ad esempio difendersi in giudizio, inoltrare istanze alle amministrazioni, in una parola sarà in grado di “farsi sentire”.

Il riconoscimento può magari lasciare perplessi, ma ciò è probabilmente frutto della mentalità contemporanea, che ha perso molta della sensibilità che deriva dall’intimità del contatto con gli elementi naturali. Sicuramente non vi riuscirà infatti difficile immaginare una società che esiste solo sulla carta. Non avrete difficoltà a inquadrarla come proprietaria di beni immobiliari e yacht extra-lusso battenti la bandiera di qualche paradiso fiscale. La società in questione è, infatti, per quasi tutti gli ordinamenti giuridici, una “persona” a tutti gli effetti. Giuridica, certo, ma sempre “persona”. Ora raffiguratevi un qualsiasi organismo vivente: il picco di una montagna, gli alberi di un bosco, le sponde di un fiume. Tali entità potrebbero considerarsi anche loro persone? Sicuramente vi viene da dire di no. In Italia e nella maggior parte delle nazioni cosiddette civilizzate, non può essere che questa la risposta obbligata, anche da parte del più illuminato degli ambientalisti.

In Nuova Zelanda, in Ecuador e in pochi altre nazioni ambientalmente “illuminate”, invece, la risposta è: sì, a certe condizioni potrebbero. In Ecuador, qualche anno fa, qualcosa di analogo era già accaduto, con il riconoscimento dei diritti di una montagna. Sempre in Ecuador, di recente, il fiume Vilcabama ha vinto una causa, in cui è stato sancito il suo diritto a non veder messo in pericolo il suo fluire dalla costruzione di una superstrada nelle vicinanze. Nello stato Centro-Americano i diritti della natura, a prescindere da quelli dell’uomo, sono addirittura inseriti nella Costituzione dal 2008.

Come riuscire a contemperare tra loro diritti umani, necessariamente antropocentrici per definizione, e diritti della natura? Il tema è intrigante, ma non appare nell’agenda di nessun parlamentare, né sembra intravedersi tra le pieghe di qualche polveroso faldone giudiziario. Eppure, le aule parlamentari e quelle e di giustizia ben potrebbero essere i luoghi privilegiati di questo genere di discussione. Un dibattito di cui si avverte il bisogno, considerata la necessità di norme e giurisprudenza più aperte verso le tematiche ecologiche e di tutela ambientale.

Oltreoceano, si sta facendo strada quella che viene definita “giurisprudenza della terra”, o wild law, che mette da parte la visione antropocentrica della salvaguardia ambientale. Certo, nei Paesi dove vige la common law - la forza vincolante del precedente giurisprudenziale - l’evoluzione delle norme e con esse delle politiche, può essere più veloce che altrove.

Nel nostro Paese, dove la common law non c’è, è più difficile concretizzare nel breve periodo decisioni basate sulla menzionata giurisprudenza della terra. Infatti, la codificazione del diritto sostanziale e processuale è l’equivalente dei “binari” che consentono la circolazione ferroviaria. Tali binari delimitano pesantemente l’operato del giudicante. “I giuristi non possono permettersi il lusso della fantasia", chiosava più di mezzo secolo fa Pietro Calamandrei, esimio giurista e uno dei "Padri" della Costituzione italiana.

Ma i tempi sono cambiati e per l’evoluzione del dettato normativo in materia ambientale occorrono operatori del diritto, e prima ancora uomini politici, in grado di discostarsi da visioni consolidate ma superate su natura e limiti del rapporto uomo-ambiente. Occorre bypassare una visione ristretta della realtà che non tiene conto delle ripercussioni del comportamento della comunità umana sulla più ampia “Comunità Terra”, della quale l’uomo è una – ma non la sola – delle componenti.

La forza germogliatrice dei concetti di wild law può dispiegare i suoi effetti anche alle nostre latitudini. Notizie come quella del riconoscimento attribuito al fiume neozelandese sono confortanti in tal senso. A parlare del Whanganui come di una persona, fino a qualche anno fa, avrebbe potuto al massimo essere qualche utopico epigono dei “Figli dei fiori”. Invece adesso lo stanno iniziando a fare titolati pubblici amministratori, stampa internazionale, rigorosi giuristi. L’humus di una “giurisprudenza della terra”, che inquadri l’Uomo come parte di un contesto naturale più ampio, inizia a sortire i suoi effetti. Esso potrà di questo passo rendere fertile anche un quadro normativo e politico apparentemente sterile.

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