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 Home page > Tribuna Libera > Il fattore D e la democrazia, finalmente, sbloccata

Il fattore D e la democrazia, finalmente, sbloccata

Quanto è difficile resistere alla tentazione di cedere e pensare che la nostra classe dirigente debba per forza essere quella che mostra, in tutto il suo squallore, la polemica di questi giorni dentro il PdL: uno scontro a colpi di dossier che lascia agli elettori di quel partito, non importa se berlusconiani o finiani, solo la possibilità di scegliere tra votare un poco di buono oppure qualcuno che, fino ad oggi, con un poco di buono ha scelto d’allearsi.

Non è un’affermazione provocatoria la mia, né è il frutto della mia lettura, sotto l’ombrellone, delle opere dello scellerato Travaglio – un giornalista che, orrore, fa il giornalista – ma l’unica logica conclusione a quanto ho letto sui giornali dell’area governativa e sentito dire da autorevoli esponenti del PdL.

Neppure i più allucinati samizdat della rete potevano arrivare ad immaginare, fino a poco fa, che una delle due ali del partito di maggioranza relativa si sarebbe messa a minacciare, di fronte al proprio elettorato, di rivelare i crimini commessi da Silvio Berlusconi – perché di crimini si parla – come pure che i giornali della famiglia Berlusconi si sarebbero preoccupati, vedremo se a ragione e con che successo, di mostrare al mondo che razza di manigoldo sia Gianfranco Fini.

Sono comportamenti che offendono l’intelligenza e la stessa moralità degli elettori di destra cui si chiede, a questo punto apertamente, non solo di tapparsi il naso, ma anche di chiudere occhi e orecchie, e di continuare a votare per gli stessi figuri, a prescindere da qualunque considerazione sulla loro onestà; sono i loro leader che gli stanno facendo sapere, in buona sostanza, di aver fin qui accondisceso, per di più sapendolo perfettamente, ad un’alleanza con un criminale, o un manigoldo, pur di arrivare al potere: un’ammissione di colpa collettiva, né più né meno, che non è però figlia del pentimento, ma della protervia di chi si ritiene, comunque, insostituibile.

E’ il punto d’arrivo di una politica “del minore dei mali” quale che è stata la nostra negli ultimi decenni, per uno o l’altro verso; l’esito di un sistema sclerotizzato, quello del nostro paese, che non conosce il ricambio, e dove gli uomini di potere, non solo nella politica, tali rimangono a vita, indipendentemente dai propri meriti e senza mai pagare i propri errori. Nella peggiore delle ipotesi, se sono scoperti a violare anche quel poco che resta del senso della decenza dei cittadini, si prendono un periodo di riposo nella certezza d’essere, quanto prima, riciclati.

L’accettazione supina di questo stato di cose è, come cittadini della Repubblica, il vero peccato originale degli elettori di destra.

Punto il dito da quella parte perché è proprio a destra che si è rinunciato, per una fedeltà di partito che assomiglia al tifo calcistico o per meri interessi personali nel brevissimo periodo, a richiedere ai propri rappresentanti anche solo un minimo di decenza, se non proprio d’onestà.

E’ a destra che le disavventure giudiziarie dei propri politici sono accolte con un sorriso di sufficienza; è a destra, nella Lega che doveva essere portatrice del nuovo, che si ridacchia per le mirabolanti avventure della Trota.

Hanno delle scusanti quegli elettori, intendiamoci.

Prima di tutto sono vittime della completa mancanza di democrazia interna dei loro partiti. Non importa quel che fanno Bossi e Berlusconi, se sono onesti o mariuoli, se governano bene o malissimo: nessuno dubita che loro saranno, sempre e comunque, i capi dei rispettivi partiti di cui sono, non presidenti o segretari, ma padroni.

Resta però la grande domanda: ma chi diavolo obbliga gli elettori di destra a votarli? Vige ancora il fattore K in un paese dove ormai di quella K non si trova quasi più traccia?

Siamo forse noi, solo noi, in una specie di bolla temporale nella quale è ancora in corso la guerra fredda? L’invito di Montanelli a votare turandosi il naso riguardava un’altra Italia e, soprattutto, un altro mondo; perché dunque, preso atto delle condizioni in cui versa la destra non si vota, come parrebbe logico, dall’altra parte?

La risposta, io credo, si trova nella campagna di diffusione di disvalori che i mezzi di comunicazione hanno condotto nell’ultimo trentennio.

Non parlo solo della stretta attualità e del tentativo, dei giornali e delle televisioni del governo, di far apparire tutta la classe politica come omogeneamente immorale, ma del messaggio, costantemente martellato nella coscienza dei cittadini, che non si debba richiedere l’onestà ai nostri rappresentanti; che il buon governo non abbia nulla a che vedere con la moralità dei governanti.

E’ l’onda lunga del Craxismo e di quei giovani socialisti rampanti - professionisti della politica, si diceva - che spendevano e spandevano sotto gli occhi divertiti dei giornalisti, che iniziavano la propria personale deriva verso il più totale servilismo, in quell’Italia degli anni 80 che fu l’incubatrice dei mali attuali e dove iniziò a scomparire dalla nostra democrazia l’unico fattore che, dopo la caduta del muro di Berlino, aveva senso che vi restasse: il fattore D di decenza.

Tutto può fare l’opposizione tranne seguire, come per certi versi ha fatto, la destra di governo giù per la china dell’abbandono d’ogni pubblica moralità.

I politici dell’opposizione non sono forse dei santi, qualcuno è anche stato colto con le mani in castagna a commettere azioni deplorevoli, ma resta che tali comportamenti vengono ancora ferocemente criticati dai loro elettori e che la questione morale sia, per chi sostiene l’opposizione, la vera e fondamentale questione della nostra politica.

E’ in questa differenza il primato morale dell’opposizione; i ladri, da quella parte, sono ancora chiamati ladri e certo non sono applauditi per le loro malefatte.

Non si tratta di diventare dei Savonarola, ma di voler restare, semplicemente, persone per bene; non dei santi o degli eroi, certo, ma cittadini che hanno conservato, mi torna sempre quella parola, un minimo senso della decenza.

Siamo un paese marcio; sono tutti uguali e siamo tutti uguali: questo è uno dei più pericolosi messaggi della disinformazione di regime.

Forse è vero, forse di santi non ce ne sono più tra noi, eppure tutti sappiamo che esiste un misura oltre la quale non si può andare, ed è utilizzando questa misura, né più né meno quella che usiamo per stabilire chi frequentare nella nostra vita d’ogni giorno – dubito che la maggior parte degli elettori di destra abbia un condannato per mafia come amico – e chi invitare a casa nostra, che si può valutare la sincerità d’intenzioni di chi si propone di risollevare il paese.

Questo non è il momento di abbassare le nostre richieste di moralità alla politica; è il momento di far tornare l’onestà – non la santità, la normale e banale onestà - tra i requisiti minimi di chiunque voglia rappresentarci.

Una cosa l’abbiamo imparata a nostre spese in questi decenni; l’onestà forse non garantisce il buongoverno, ma certo la disonestà, se non lo esclude, lo fa diventare una mera eventualità: gli obiettivi principali dei governi ad onestà limitata sono sempre altri.

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