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Il divorzio tra mercati e le banche centrali

La Banca centrale europea non tocca i tassi ufficiali, come da attese. Mario Draghi conferma la volontà di tenere bassi i tassi per un “esteso periodo di tempo” e che le condizioni monetarie restano accomodanti. Discorso analogo per la Bank of England di Mark Carney. Il mondo attende l’inizio del famigerato tapering della Fed ma ormai si può dire che il treno ha lasciato la stazione: i mercati obbligazionari stanno divorziando dalle banche centrali. Le conseguenze potrebbero essere non particolarmente piacevoli.

In questi giorni una strana euforia sembra essersi impadronita dei paesi del G7, e soprattutto degli europei. La revisione al rialzo delle stime di crescita ha aperto la strada al momento delle pacche sulle spalle per l’ottimo lavoro fatto in termini di austerità e controllo (si fa per dire) dei conti pubblici.

Anche se la posizione fiscale dell’Eurozona quest’anno sarà sostanzialmente neutrale, i rendimenti obbligazionari sono in aumento pressoché ovunque. Il Bund decennale tedesco ha toccato un rendimento del 2%, che non vedeva da oltre un anno. Il 22 luglio scorso il rendimento era 1,52%. Anche i nostri Btp, che nel frattempo hanno ristretto lo spread, hanno registrato aumenti di rendimento: il decennale, dopo aver toccato un rendimento minimo a inizio maggio, intorno al 3,8%, oggi è al 4,45%.

Più in generale, tutte le curve dei rendimenti si stanno irripidendo, cioè i rendimenti salgono in modo tendenzialmente crescente al crescere delle scadenze dei titoli. Dietro questa tendenza esiste effettivamente l’aspettativa di una effettiva ripresa economica, che costringe a prendere atto che i rendimenti non possono che salire, visto che sono a minimi storici assoluti. Ma esistono, come sempre, anche movimenti di mercato che tale realtà guidano ed amplificano.

In altri termini, i mercati pensano che vi sarà ripresa; credono che i rendimenti possano solo salire; decidono che la loro asset allocation ha in portafoglio troppi bond, soprattutto a lunga scadenza, quelli più vulnerabili in caso di risalita dei tassi; procedono a vendere, ed ecco che realizzano la profezia, ed oltre.

Le banche centrali, confortate da livelli di inflazione ancora estremamente bassi, non si muovono sui tassi ufficiali, cioè sulla parte a brevissimo termine della curva, che resta inchiodata vicino allo zero. Ma tutto il resto della curva sale. E siccome l’inflazione e le aspettative inflazionistiche restano rispettivamente bassa e stabile, ecco che i tassi d’interesse reali salgono, esercitando un movimento frenante sull’economia. Se a questo si aggiunge l’andamento del greggio, i cui rialzi da qualche stagione non esercitano più un ruolo principalmente inflazionistico ma soprattutto uno di drenaggio di reddito disponibile dei consumatori, ecco che il mondo potrebbe essere alla vigilia di un bel colpo di freno mentre tutti si danno il cinque per la “vibrante” ripresa uscita praticamente dal nulla, se non (in Europa) dalla prostrazione di un’economia che prima o poi doveva toccare il fondo.

Pare quindi essere in atto un divorzio tra banche centrali e mercati: le prime continuano a dirsi espansive ed accomodanti, e certamente lo sono avendo riguardo alla parte della curva che istituzionalmente presidiano (il brevissimo termine); i secondi ringraziano ma vendono tutto il resto, facendo salire i rendimenti e causando quindi quella stretta monetaria che le banche centrali promettono di voler rinviare a tempi migliori, di ripresa economica vera e ben radicata.

Ricorderete che, poche settimane addietro, sia il neo governatore di Bank of England, Mark Carney, che lo stesso Draghi hanno detto che i rendimenti stavano salendo troppo e senza giustificazione. Quello è stato il tentativo di isolare le rispettive realtà dall’azione della Fed.

Ebbene, oggi pare che la “percezione” di ritorno della crescita stia in parte sconfessando quella posizione. E se è vero che in questi giorni abbiamo avuto revisioni al rialzo delle previsioni di crescita un po’ ovunque in Europa, il che giustifica di per sé l’aumento dei rendimenti obbligazionari nominali e reali, è altrettanto vero che questa ascesa dei rendimenti di mercato pare eccedere quelle previsioni.

Le prossime settimane e mesi diranno: nel frattempo c’è da sperare che la ripresa coinvolga anche il relitto Italia: se così non fosse, con questa risalita dei rendimenti, andremo incontro a guai seri.

 

Foto: Rusty Clark/Flickr

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