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Il diritto e il rovescio dei peccati più gravi

Ogni volta che un Vescovo ha notizia - almeno verosimile - di un delitto grave, svolge una sua prima indagine e trasmette gli atti alla Congregazione per la Dottrina della Fede che, se non avoca a se l’indagine, ordina al Vescovo di procedere.
 
Delitti più gravi sono quelli commessi contro i costumi o nella celebrazione dei sacramenti, giudicati dal Supremo Tribunale Apostolico della Chiesa, la Congregazione per la Dottrina della Fede, appunto. Le sentenze di questo Tribunale Supremo, emesse nei limiti della propria competenza, non sono soggette all’approvazione del Sommo Pontefice. Il Collegio è presieduto dal Prefetto o, in sua assenza, dal Segretario della Congregazione, che nomina gli altri cinque giudici. L’accusa e la difesa sono affidate a sacerdoti dottori in diritto canonico mentre un altro sacerdote svolge le funzioni di cancelliere.
 
Per questi delitti si instaura un formale processo e il Tribunale apostolico ha facoltà di deferire direttamente alla decisione del Sommo Pontefice i casi più gravi, specialmente quando si è accertato che il delitto è manifestamente avvenuto ed è stata data al colpevole la facoltà di difendersi. Al Papa è affidata la decisione in merito alla dimissione dallo stato clericale o alla deposizione, insieme alla dispensa dalla legge del celibato. Le cause di questo genere sono soggette al segreto pontificio.
 
Queste alcune delle novità contenute nel nuovo testo del “De gravioribus delicti”, la normativa che disciplina i delitti più gravi, rivisitati dalla Congregazione per la Dottrina della Fede e sottoposti al Papa che il 21 maggio 2010 li ha approvati ordinandone la promulgazione.
 
Di particolare importanza il comma 1 dell’Art. 6 del nuovo testo, ove si legge che i delitti gravi contro i costumi, riservati alla giurisdizione della Congregazione, sono:
1° il delitto contro il sesto comandamento (non commettere atti impuri) commesso da un chierico con un minore di diciotto anni ( = pedofilia); viene equiparata al minore la persona che abitualmente ha un uso imperfetto della ragione;

2° l’acquisizione o la detenzione o la divulgazione, a fine di libidine, di immagini pornografiche di minori sotto i quattordici anni da parte di un chierico, in qualunque modo e con qualunque strumento.
 
Quelli dell’art.6 sono quindi considerati delitti particolarmente gravi. Il prete che li compia è punito anche con la dimissione o la deposizione. La prescrizione per questi delitti è di 10 anni ma per quelli commessi da un chierico a danno di minore la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il minore ha compiuto il 18° anno di età.
 
Secondo il Card. Bagnasco, Presidente della CEI (Conferenza episcopale Italiana) – il massimo organo dei vescovi italiani - “…la Chiesa ha sempre perseguito e dato indicazioni di massima trasparenza e fermezza nell’affrontare la pedofilia….omissis…. È sotto gli occhi di tutti il fatto che diversi vescovi di varie nazioni, una volta trovati responsabili di non essere prontamente intervenuti contro alcuni preti e avere nascosto i fatti, si sono dimessi.” Alla 61ª Assemblea Generale dei Vescovi italiani ha sottolineato che la pedofilia è “un peccato terrificante e un reato che riguarda tutta la società e la Chiesa, che fa parte della società”, concludendo che “…i sacerdoti sono ogni giorno a servizio del bene di tutti” e “i casi di indegnità non possono oscurare il luminoso impegno che il clero italiano nel suo complesso, da tempo immemore, svolge in ogni angolo del Paese”.
 
Purtroppo il fenomeno esiste ed è un crimine enorme, per dirla con Papa Ratzinger o è terrificante, per dirla con il Cardinale Bagnasco. Il Segretario della CEI ha ammesso che nell’ultimo decennio ci sono stati in Italia un centinaio di casi. E non sarebbe poco se pure fossero tutti.
 
La Conferenza episcopale americana (la CEI italiana) in uno studio commissionato nel 2004 aveva scoperto che il 4% dei sacerdoti e diaconi in America – pari a 109.694 unità – negli ultimi 50 anni era stato accusato di crimini a sfondo sessuale con minori.
 
E’ una profonda vergogna e lottiamo tutti perché questi fatti non si ripetano più. Come abbiamo visto sono stati predisposti gli strumenti per perseguire i più turpi comportamenti di fronte ai quali non ci sono alibi e ci sarebbero le soluzioni tecnico giuridiche per intervenire. Questo è in diritto. Il rovescio è che il problema è delicatissimo e ci vuole coraggio, ma di certo il silenzio o il trasferimento ad altra sede, come da prassi, serve solo a nascondere il problema e a creare disorientamento nella pubblica opinione. E’ uno dei più gravi problemi che la Chiesa deve affrontare e la soluzione non può che venire da una revisione sulla posizione del celibato del clero.
 
Chiediamoci anche se è minore la vergogna che ci pervade quando Telefono Azzurro scopre che il 60% degli abusi su minori, in Italia, avviene con un incesto in famiglia.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.250) 5 agosto 2010 00:27

    “Prometto, mi obbligo e giuro che manterrò inviolabilmente il segreto su ogni e qualsiasi notizia, di cui io sia messo al corrente nell’esercizio del mio incarico, escluse solo quelle legittimamente pubblicate al termine e durante il procedimento”[1].

     

    È una delle clausole del Crimen, sebbene alla prima lettura sembrerebbe un giuramento inquietante dell’iniziazione mafiosa. Il Vaticano crede di essere ancora nel Medioevo, quando erano soltanto i suoi esponenti a studiare legge. Oggi esiste una tale preparazione legale fra gli avvocati del mondo occidentale che non si può più essere disposti a cedere nulla di fronte a giri di parole e a sofismi di tale casta ekklesiastica. Sentite come si giustificava nel 2007, in maniera imbarazzata ed imbarazzante per chiunque abbia i neuroni a posto, il cardinal Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI):

     

    “Le Norme di cui stiamo parlando si trovano all’interno di un ordinamento giuridico proprio, che ha un’autonomia garantita, e non solo nei Paesi concordatari. Non escludo che in particolari casi ci possa essere una forma di collaborazione, qualche scambio di informazioni, tra autorità ecclesiastiche e magistratura. Ma, a mio parere, non ha fondamento la pretesa che un vescovo, ad esempio, sia obbligato a rivolgersi alla magistratura civile per denunciare il sacerdote che gli ha confidato di aver commesso il delitto di pedofilia. Naturalmente la società civile ha l’obbligo di difendere i propri cittadini. Ma deve rispettare anche il ‘segreto professionale’ dei sacerdoti, come si rispetta il segreto professionale di ogni categoria, rispetto che non può essere ridotto al sigillo confessionale, che è inviolabile”[2].

     

     A parte che la quasi totalità delle migliaia di casi di pedofilia clericale è venuta alla luce, grazie a denunce da parte di civili cittadini, liberi da pastoie fideistiche settarie o grazie agli stessi abusati (come vedremo più avanti) e non nell’ambito del segreto confessionale, ma con quale rigore religioso si possono sostenere discorsi del genere, che sarebbero più opportuni in bocca a dirigenti delle multinazionali del terrore e non ad uno che si professa seguace di Cristo e che in quanto tale dovrebbe difendere i bambini e non offenderli ancora una volta in nome della propria incolumità professionale! Nella prossima dichiarazione dei redditi, ricordatevi a chi dare l’Ottopermille, se ai violentatori o alle vittime! Oltre nove miliardi di euro intasca il Vaticano dai cittadini italiani, affinché i monsignori che abitano in una città di mezzo chilometro quadrato paghino, tra l’altro, gli avvocati per difendersi nei dibattimenti contro le accuse di pedofilia. Ah, dimenticavo: nel frattempo che si risolva questa millenaria questione, tenete lontani i vostri bambini dalle chiese, dagli oratori e dai preti, finché l’ultimo dei loro delinquenti non marcisca nelle carceri di massima sicurezza!


    [1] «Spondeo, voveo ac iuro, inviolabile secretum me servaturum in omnibus et singulis quae mihi in praefato munere exercendo occurrerint, exceptis dumtaxat iis quae in fine et expeditiones huius negotii legitime publicari contingat».

    [2] Cfr. Rosario Amico Roxas, Omertà vaticana, Giovedì, 27 settembre 2007, in: fisica/mente.net oppure http://www.korazym.org/news1.asp?Id=25447

    E non vi fate di nuovo ingannare dalle dichiarazioni pubbliche della “tolleranza zero”, mentre dietro le quinte essi preparano le vie di fuga dei loro cari “dipendenti”. Come ha sottolineato, infatti, Tom Doyle, il Crimen sollicitationis impone categoricamente la scomunica immediata (latae sententiae) a chi denuncia i crimini di pedofilia e che soltanto le gerarchie ekklesiastiche hanno funzione giuridica in simili reati. L’ostacolo è proprio questo: che tutte le cause in corso sono soggette al “segreto pontificio”[1]. In particolare, il Crimen impone che le cause di abusi sessuali siano segretissime e su esse scenda il “silenzio perpetuo”, sia da parte dei giudici canonici sia anche dei testimoni, delle vittime e dei violentatori. Questo va a collidere con le disposizioni civili dello Stato italiano che nell’art. 378 del codice penale punisce a titolo di favoreggiamento personale “chiunque, dopo che fu commesso un delitto per il quale la legge stabilisce l’ergastolo o la reclusione […] aiuta taluno a eludere le investigazioni dell’Autorità, o a sottrarsi alle ricerche di questa”.

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    [1] Discepoli di Verità, Segreto pontificio – I crimini sessuali nella Chiesa nascosti da papa Wojtyla e dal cardinale-prefetto Ratzinger, Milano, Kaos Edizioni, 2007.

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