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Il diritto allo shopping di Anna Finocchiaro

La classica tempesta in un bicchiere d’acqua. O un espediente per vendere qualche copia in più, soffiando sul fuoco dell’antipolitica, quel fuoco che sembra stia per incenerire un ceto politico improvvisamente vecchio, superato, messo in croce da un comico prima sottovalutato e ora temuto.

La vicenda, che ha fatto immediatamente il giro del web, è quella relativa alle immagini pubblicate dal settimanale berlusconiano “Chi”, diretto da Alfonso Signorini, che immortalano lo shopping all’Ikea della senatrice del Pd Anna Finocchiaro, accompagnata da tre uomini della sua scorta. Le foto ritraggono gli agenti intenti a consigliare la presidente dei senatori democratici nell’acquisto di padelle antiaderenti e mentre sospingono il carrello della spesa.

E giù con le battute degli internauti sui bodyguard utilizzati come colf e sull’improprio e discutibile impiego di denaro pubblico per scopi privati. Twitter, per certi versi, ha le dinamiche tipiche dei funerali. Avete presente il momento in cui, alla fine del rito funebre, qualcuno schiocca l’applauso (evvai!) e immediatamente tutta la chiesa esplode? Ecco, più o meno, sul social network più trendy del momento, accade la stessa cosa. L’hashtag #finocchiarovergogna è subito balzato tra i primi posti degli argomenti di discussione. Sentenza: la scorta dovrebbe svolgere altre mansioni, non fare la spesa. Le foto incriminate non sarebbero altro che l’ennesima prova dei privilegi e dell’arroganza della Casta. 

Devo ammettere che, in questa circostanza, non riesco a seguire il coro di indignazione del “popolo della rete”. La reazione mi sembra eccessiva, scomposta, per quello che, a mio avviso, rimane principalmente un gesto di cortesia. Quale uomo, accompagnando una donna in un centro commerciale, non si sobbarca del lavoro “pesante” (trasporto del carrello della spesa e sistemazione dei pacchi sulla macchina)? Sarebbe anomalo il contrario. La scorta, poi, segue il soggetto da proteggere ovunque, negli spostamenti che questi compie da politico e in quelli in cui veste i panni del cittadino comune: in Parlamento, all’Ikea, dal fruttivendolo o dalla parrucchiera. Lo fa perché è quello il suo lavoro. La domanda da porre, semmai, dovrebbe riguardare l’opportunità che a molti politici sia assegnata una scorta. Sul punto (“Avere la scorta per me non è un piacere. Mi è stata imposta e nonostante ciò provo a fare una vita normale, anche da Ikea”), la stessa senatrice ha tenuto a precisare di avere chiesto la revoca del servizio “circa tre mesi fa, ma la risposta è stata negativa”.

Tornando a Signorini, considero più discutibile la sua intervista a Ruby “rubacuori” per la trasmissione televisiva Kalispera, durante la fase più torrida dello scandalo che coinvolse l’ex premier e la “nipote di Mubarak”. Ma quella era un’altra storia. E, a ben vedere, un altro Signorini.

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