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Il declassamento dell’Italia e l’attendibilità delle società di rating

Sono attendibili le solcietà di rating?

Nei giorni scorsi, nel mezzo della grave crisi mondiale che stiamo attraversando, l'Italia è stata declassata dalle tre più importanti Agenzie di rating esistenti al mondo: la Standard & Poor's, la Moody's Corporation e la Fitch Ratings, tutte società private statunitensi. Il motivo è da attribuirsi all'alto livello del debito pubblico italiano, al basso tasso di crescita e alla mancanza di fiducia di cui soffre il nostro Governo.

Poiché dai giudizi espressi da queste Agenzie (che sono dei veri spaurachi per i risparmiatori, le banche centrali e i governi) dipende l'andamento dei mercati mondiali, il declassamento dell'Italia si traduce nell'aggravamento del debito pubblico, nei maggiori costi, nei più altii interessi. Ma che cosa sono, come operano e sopratutto sono attendibili queste Agenzie?

Anzitutto ricordiamo che esse sono nate agli inizi del novecento e che la loro attività consiste nell'analizzare la solidità finanziaria di soggetti quali Stati, governi, enti, imprese, banche e assicurazioni. Per la storia, la progenitura del concetto di rating è da attribuirsi alla Standard & Poor's che di fatto opera dal 1941 e che, insieme alla Moody's e alla Fitch (attualmente con capitale francese), rappresenta la punta di diamante fra le undici Agenzie di rating esistenti al mondo.

Il rating valuta l'entità del rischio del credito tramite diversi parametri e viene espresso dalle Agenzie con una scala alfabetica che va da un valore massimo ad uno minimo (ad esempio la Standard & Poor's, per il debito a lungo termine, indica con AAA il valore massimo e con D il valore minimo).

Come è noto il 20 settembre scorso proprio la Standard & Poor's ha declassato da A+ ad A il rating dell'Italia, di breve e lungo termine, con outlook negativo (che vuole dire che senza un cambiamento di tendenze è probabile un ulteriore declassamento). Dopo solo due giorni la scure della stessa Agenzia ha tagliato il rating di quindici istituti di credito italiani, tra cui Mediobanca a Banca Intesa San Paolo.

Come se ciò non bastasse, ai primi di ottobre anche le Agenzie Moody's e Fitch hanno tagliato il rating dell'Italia (da A2 ad A1 la prima e da AA ad A+ la seconda), facendo aumentare lo sgomento e la preoccupazione dei cittadini e delle istituzioni. Allarmato anche il Governo, che, già in seria difficoltà per la crisi e alle prese con l'attuazione delle riforme, attendeva con trepidazione questi giudizi.

Ma, per la verità, bisogna pur dire che l'attendibilità delle Agenzie di rating è oggi messa in seria discussione in tutto il mondo. Ricordiamo che nella scorsa estate ha fatto molto scalpore la decisione di Standard & Poor's di tagliare, per la prima volta nella storia, la tripla A degli Stati Uniti d'America, provocando una forte protesta della Casa Bianca e di tutti gli americani. L'Amministrazione Obama ha energicamente reagito accusando la Standard & Poor's di gravi irregolarità nella valutazione delle spese, dovute a gravi errori che si aggirano sui  duemila miliardi di dollari.

La credibilità delle Agenzie è inoltre fortemente compromessa dalle accuse sulle lusinghiere valutazioni elargite in passato ad alcune grosse multinazionali, come la Parmalat e la Enron, che in realtà erano sull'orlo del fallimento. Per non parlare del'ondata di ostilità sollevata da esperti del settore che le accusano, più o meno apertamente, di manipolare il rating allo scopo di favorire la speculazione internazionale.

Concludendo, è appena il caso di osservare che, pur nel rispetto della grande professionalità delle Agenzie internazionali di rating. esse non sono affatto infallibili nei loro giudizi ed è quindi giustificato ogni ragionevole dubbio. Anche sui giudizi espressi sul nostro Paese.

Commenti all'articolo

  • Di paolo (---.---.---.147) 10 ottobre 2011 11:24

    Che ci possa essere del torbido non solo è possibile ma direi anche probabile . Il rischio che questi enti certificatori facciano politica se non addirittura interessi privati è una questione che prima o poi dovrà essere affrontata .

    Tuttavia nel caso specifico dell’Italia se il declassamento è avvenuto per i motivi che hai citato direi che non fa una grinza .Se poi l’indice di credibilità della politica italiana è un fattore di giudizio ,direi che c’è da meravigliarsi che non ci hanno mandato in serie Z .

    Rimane il dubbio su alcune classificazioni di banche (francesi ,tedesche ed inglesi ) che sono strapiene di " titoli spazzatura " ,ben peggio delle nostre, e che sono ancora imacolate . Forse perché in quel caso gioca la credibilità di governi sui quali c’è piena fiducia nel sostegno al sistema bancario . Nel nostro caso evidentemente no .E chi lo sa?

  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.48) 10 ottobre 2011 11:26
    Damiano Mazzotti

    Le Agenzie di Rating sono sicuramente in conflitto di interessi con le Grandi banche d’affari americane (come la Goldman), che le foraggiano... Poi non bisogna escludere gli interessi governativi di americani e inglesi... e quindi dei loro servizi segreti... E come mai Assange e Wikileaks non hanno ancora pubblicato nulla sulla grande truffa dei derivati organizzata dalle grandi banche d’affari? Goldman ha pattegiato pagando una multa per bloccare le indagini e per evitare l’accertamento e il conivolgimento della cima della piramide.

    E perchè i responsabili americani e il governo si è accontentato di questo patteggiamento e ora lascia speculatore i banchieri come prima? Preparatevi al prossimo Grande Crash...

  • Di pv21 (---.---.---.33) 10 ottobre 2011 19:54

    Dazi collaterali >

    Già a fine 2009 per Berlusconi eravamo usciti dalla crisi “meglio di altri” e con la primavera del 2010 era ormai avviata la ripresa, “lenta, ma sicura”.
    Nell’anno successivo sono invece arrivate una serie di manovre fatte di tasse e tagli per 145 miliardi.
    Oggi, con un Debito cresciuto di 300 miliardi in soli 3 anni e con una crescita del Pil tendente allo zero, è “vanto” del governo l’aver tenuto i conti in ordine.

    Cosa sarebbe cambiato se a fine 2009 fosse stata finanziata una manovra, anche di soli 10 miliardi, a sostegno di imprese e famiglie?
    L’esborso non avrebbe “alterato” lo stato dei conti pubblici.
    Poteva accompagnarsi, come da più parti auspicato, a poche basilari riforme volte a snellire la macchina burocratica ed a favorire la competitività.
    All’epoca un siffatto “contenuto” investimento avrebbe rinvigorito il tessuto socio-economico e dato un reale impulso alla crescita.

    Se è superfluo dissertare sui benefici effetti di tale mancata decisione, un dato è però certo. In un contesto andatosi man mano deteriorando, il costo di una “sferzata” di pari portata sarebbe oggi più che doppio.
    Governare l’economia non è ’performance’ da teatrino di Pantomima e Rimpiattino

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