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Il cavallo di Troia dell’antimafia

Nei giorni scorsi la Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere ha concluso un’inchiesta denominata Chi controlla i controllori grazie alla quale, poi, i Carabinieri hanno arrestato sei persone, tre ispettori dell’ASL Caserta 2 e altrettanti consulenti del lavoro. Secondo le accuse i sei avrebbero indotto anche con minacce gli imprenditori a rivolgersi a consulenti di lavoro «loro amici». Cosa succedeva in pratica?

In occasione di controlli a cantieri edili e fabbriche il gruppo dopo aver riscontrato delle irregolarità minacciava di bloccare le attività perché costretto a redigere, ovviamente, delle contestazioni pecuniarie.

Per ovviare a tutto ciò si consigliava di rivolgersi a sei consulenti del lavoro, vicini al gruppo, in grado di rilasciare idonee certificazioni come il DVR, documento di valutazione del rischio con data antecedente il controllo.

L’inchiesta ha inoltre dimostrato, grazie alle intercettazioni telefoniche, che l’organizzazione si era occupata anche dell’azienda farmaceutica “DSM” di Capua tristemente nota alle cronache per la morte di tre operai avvenuta l’11 settembre scorso.

Anche di questa inchiesta si è occupato il pubblico ministero Donato Ceglie, uno dei massimi esperti di eco-reati, il quale ha rilasciato alcune dichiarazioni, eccole: «In Campania quando si inizia a indagare su qualcosa si scopre sempre una convergenza tra mondo illegale e legale. Qui, insomma, esiste una legalità illegale».

L’affermazione del magistrato è grave. Non c’è molto da commentare o analizzare perché Ceglie dice che in Campania la legalità è illegale.

Questo significa che nella regione dove l’accordo tra Stato e Camorra è avvenuto molti anni prima di quello avvenuto all’indomani delle stragi siciliane, che hanno causato la morte dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino con le rispettive scorte, non c’è speranza per una ripresa dei territori da parte della popolazione e dello Stato nonostante il ministro Maroni sbandiera ai quattro venti il «modello Caserta».

A questo punto la domanda che mi pongo è la seguente: ma quanti dibattiti televisivi o giornalistici avrebbero prodotto queste gravissime ed importanti dichiarazioni se avessero avuto come ambientazione la Sicilia? Quante manifestazioni si sarebbero organizzate e quante interrogazioni parlamentari avrebbero scaturito?

Qui invece non è avvenuto nulla.

Cosa deve ancora accadere affinché nella Regione di Biutiful Cauntri, dove continuano ad essere seppelliti milioni di rifiuti tossici ed assassinati sindaci ambientalisti, si apra una riflessione seria, oltre le solite fiaccolate, tra le associazioni sul futuro della Campania?

Allora riprendo, tacendo il nome, le dichiarazioni di un navigato amico giornalista il quale mi dice che le Procure campane non hanno dei buoni uffici stampa. È necessario far veicolare questo tipo di notizie grazie a dei buoni uffici stampa per aprire un dibattito o cercare di capire come mai in Campania si è giunti a questa situazione? Mica si tratta di far recensire un libro o allestire uno spettacolo?

La lotta alle mafie, aldilà di chi quotidianamente è in prima linea rischiando la pelle, sembra essere la solita buona occasione per i professionisti dell’antimafia che, nascosti in un cavallo di Troia, escono allo scoperto per combattere un solo nemico, Silvio Berlusconi.

Perché affermo ciò? Semplicemente perché noto, da semplice lettore, che vi è un’attenzione, quasi esclusiva, per quanto accade in Sicilia e, in ultimo, anche in Lombardia. Ogni vicenda viene ripresa, analizzata, intrecciata, riannodata, studiata e poi utilizzata come una pallottola da lanciare sul bersaglio.

Non me ne vogliano i siciliani, né i professionisti dell’antimafia, ma le dichiarazioni di Donato Ceglie mi preoccupano tanto e qui, come al solito, la stampa e la società civile decantano ogni cosa nel dimenticatoio, così come, certa stampa nazionale, rincorre, in Campania, i soliti fatti di cronaca spicciola.

Perciò mi chiedo e vi chiedo:

Non è che impegnarsi nell’antimafia, per una parte della classe politica, soprattutto quella che non ha ruoli istituzionali, è un mezzo per riciclarsi e cercare una collocazione nell’ambito arco parlamentare?

Pietro Nardiello

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