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Il caso Manca e la beatificazione di don Binnu

Il caso di Attilio Manca riporta all’attualità il giudizio che si è sempre dato sui mafiosi e sui loro capi. Per loro gli uomini sono strumenti. Si spremono come i limoni e poi si eliminano se possono essere pericolosi: testimoni scomodi o persone che non stanno al gioco, ma fanno semplicemente il loro dovere.

 

Dobbiamo ringraziare l’avvocato Fabio Repici, difensore della famiglia Manca, se oggi sappiamo che la scomparsa del bravo urologo, è uno degli ennesimi gialli attorno a cui ruota un frammento, anche questo tragico, della storia di Bernardo Provenzano. Ricoverato in una clinica di Marsiglia il boss è stato curato da un bravo urologo, divenuto, così, testimone scomodo. Vittima inconsapevole della filosofia felina propria di tutti i mafiosi. Prima si fanno risolvere i problemi che hanno e poi i comuni mortali, legati al senso del dovere ippocratico o meno, ma appartenenti a un ordine inferiore, vengono scaraventati nel baratro.

“Finalmente la verità inizia ad emergere – commenta Luca Manca, il fratello del medico morto l’11 febbraio 2004 – . Con i miei genitori non abbiamo mai smesso di batterci per ottenere giustizia e adesso i fatti ci danno ragione. Una perizia del genere non lascia dubbi: le impronte sono impercettibili. E se davvero fosse stato Attilio ad utilizzare le siringhe, non credo proprio che lo avrebbe fatto impugnandole con i guanti o pulendole dopo l’uso. Non è stato facile lottare per sapere come sono davvero andate le cose, ma la nostra tenacia ci sta premiando. Un fatto è certo: mio fratello non era un drogato e non si è ucciso. Chi ha decretato la sua morte lo ha fatto per coprire qualsiasi collegamento tra determinati ambienti barcellonesi ed il latitante Bernardo Provenzano”.

Provenzano fu arrestato l’11 aprile del 2006, due anni dopo la scomparsa di Manca. Era ricercato dal 1963, e al momento del suo arresto aveva ben 43 anni di latitanza. E’ difficile immaginare che lo Stato, con i suoi potenti mezzi, ci possa mettere quasi mezzo secolo per acciuffare uno che se ne sta quasi a casa sua. Nel 2002 si ha notizia che si è fatto curare a Marsiglia. In condizioni di debolezza e di dipendenza sarebbe stato facile acciuffarlo. Ma non è così. Perché l’invisibilità dei grandi padrini e i collegamenti che li legano agli ambienti che li proteggono, sono una prerogativa che la dice lunga sulla natura di Cosa Nostra.

Abbiamo molto da apprendere dalle date, anche per meglio capire il caso dell’urologo di Barcellona Pozzo di Gotto.

 Dopo la cattura di Totò Riina nel 1993 i boss mettono in atto una strategia di sommersione. Nei giochi di ricomposizione del dominio mafioso, lo scacchiere di Cosa Nostra evidenzia tasselli che saltano grazie a vari arresti e altri che continuano nella loro navigazione ipogea fino all’arresto. E dopo.

Il primo a dare la stura alle tarantelle su questo epilogo, è lo stesso avvocato di Provenzano, Salvatore Traina, quando fa sapere all’opinione pubblica che il suo assistito poteva essere considerato come un rispettabile galantuomo della società civile. Forse l’avvocato lanciava un messaggio sulla possibilità che un boss di quel livello potesse avere concessa una sorta di “amnistia” in cambio di qualche prestazione. E’ un’ipotesi, ma la cosa certa è che quello che abbiamo visto accadere nella casa di campagna di Montagna dei Cavalli a Corleone, in occasione dell’arresto del capomafia, ha tutta l’evidenza di una scenografia già preparata prima. Da un lato si coglie la preparazione e la professionalità (che certamente ci furono) nel raggiungere il casolare da parte delle forze dell’ordine, dall’altro si nota come il capo di Cosa Nostra sia inserito in un contesto arcadico, ridotto a figura mistica, a santone indiano che predica l’alimentazione sana e gli esercizi spirituali, nel ritiro di una vocazione religiosa d’altri tempi.

il covo di Bernardo Provenzano

il covo di Bernardo Provenzano

A questo quadro qualcuno ha aggiunto qualcosa di poco chiaro. E cioè l’intitolazione di una via intestata al giorno dell’arresto di Provenzano con tanto di data e nome scritti sulla freccia che porta a questo “santuario”. Una cosa di pessimo gusto, per non dire anche pericolosa socialmente, in quanto, con lo sviluppo del turismo macabro in Italia, quel luogo rischia di diventare una meta di pellegrini di ogni genere. In buona e in cattiva fede.

Da quei primi approcci di restituzione al consorzio civile all’arresto ci sono dei passaggi significativi.

Vigna, quand’era procuratore antimafia, fu esplicito: visto come si mettono le cose –disse - Provenzano deve sapere che lo Stato è più garantista di Cosa Nostra. In buona sostanza è meglio che si faccia proteggere prima che qualcuno lo tolga di mezzo. Ci furono poi degli incontri con un mediatore per la cattura. Il primo a parlarne è il procuratore Grasso nel dicembre 2011.

Che dice Grasso? Ci racconta che quando nel 2005 prese il posto di Vigna, gli fu riferito di un interlocutore. Si parla di un primo incontro, già nel 2003, del faccendiere-informatore della polizia giudiziaria, con il capo della DNA, Vigna, e i procuratori aggiunti antimafia Macrì e Cisterna. In questo incontro il mediatore avrebbe dettato le condizioni di Provenzano per la sua consegna. Pare difficile credere che il boss lo facesse per denaro. Ma tale aspetto è confermato nel secondo incontro del 2004. Al terzo incontro del 2005 Grasso è subentrato a Vigna, ed è lui che partecipa come nuovo capo della DNA. Ma per Grasso il mediatore è un millantatore perché non fornisce la prova biologica del DNA di Provenzano da confrontare con una prova precedente. Anche per Vigna il personaggio non è attendibile.

A quella data Manca era già stato ucciso e nel mezzo c’erano state una serie di verifiche per la consegna del capomafia. Non è da escludere che l’eliminazione dell’urologo sia stata determinata da un contesto ben preciso, in cui, come sospettano i familiari del professionista, alcuni personaggi avevano interesse a “coprire qualsiasi collegamento tra determinati ambienti barcellonesi ed il latitante Bernardo Provenzano”.

Da lì a due anni Provenzano sarà acciuffato e a quel punto tutti i conti sono stati chiusi. Anche quelli per il passaggio di consegne dalla vecchia alla nuova mafia. Quella di Matteo Messina Denaro.

Per questo passaggio la scenografia simbolica, secondo i canoni della mafia abituata a parlare con la lingua dei segni, è costruita dallo stesso Provenzano. Vuole essere ricordato così: un eremita, un santo, nel ritiro spirituale di un mondo agreste lontano dal mondo e dalla civiltà, chiuso in una cella francescana: un letto, una stufetta, un cucinino. Mangia cicoria e ricotta. In un pizzinu c’è il suo testamento spirituale:

Ti prego di essere sempre calmo e retto, corretto e coerente, sappia approfittare l’esperienza delle sofferenze sofferte, non credere a tutto quello che ti dicono, cerca sempre la verità prima di parlare, e ricordati che non basta mai avere una prova per affrontare un ragionamento. Per essere certo in un ragionamento occorrono tre prove, e correttezza e coerenza. Vi benedica il Signore e vi protegga.” Amen

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