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Il Ripasso 11: The Mothers of Invention

Imbarcarsi un genio in una band comporta sempre il rischio che l’equilibrio interno possa crollare. 

Cosa che capitò quando Ray Collins litigò col chitarrista della band di Rhythm and Blues in cui cantava e decise, d’accordo con il leader, un sassofonista, di sostituirlo con Frank Zappa, un bravo chitarrista molto esperto nel genere. Il vero problema di fondo, per il futuro del gruppo, era che questo chitarrista si era formato anche con l’ascolto di musicisti come Edgar Varese, Igor Stravinsky, Anton Webern. E, autodidatta, si era fatto spiegare da alcuni suoi professori quali fossero le regole di quel linguaggio musicale dal quale era estremamente attratto. E le aveva apprese molto bene.

E un giorno accadde che Frank Zappa dicesse: “E se suonassimo un po’ di musica composta da noi?” cioè da lui. Il sassofonista comprese l’enorme azzardo e se ne andò subito. Il resto della band si fece conquistare da questo “motherfucker”, dal carattere cinico ed estremamente sveglio. Argomentare contro di lui non era cosa facile, soprattutto musicalmente. Nascono le “Mothers”, in onore del giorno della festa della mamma, ma l’idea non piace agli impresari che credono si sottintenda appunto “motherfuckers”, modo molto volgare per indicare musicisti di estrema capacità tecnica. Mettono su un repertorio che mescola in modo ambiguo e sarcastico canzoni doo-woop alle sperimentazioni che Zappa ormai esplicitamente inserisce nel repertorio del gruppo. Ha preso pienamente le redini, quasi senza che gli altri se ne siano accorti.

Strappano un contratto alla MGM, portando un repertorio ampio di canzoncine cretine, ma durante le registrazioni ci infilano dentro anche brani dai testi di critica sociale esplicita e musiche assolutamente impreviste e inconsuete. La MGM ormai è incastrata; il manager, mollati gli ormeggi, ingolla un acido dopo aver permesso a Zappa di noleggiare una quantità spropositata di percussioni che fa suonare in modo improvvisato ad amici riuniti nello studio. L’album, ‘Freak Out’ (1966) uscirà doppio (secondo caso nella storia dopo ‘Blonde on Blonde’ di Dylan che lo precede di poco) e sarà chiaramente un clamoroso insuccesso per la sua manifesta schizofrenia musicale.

Mangiata la foglia, come si suol dire, la MGM concede tempi brevissimi per registrare il secondo album previsto nel contratto. Ne esce fuori un disco (‘Absolutely Free‘ – 1967) dove gli argomenti si fanno sempre più incandescenti. Zappa ritrae l’ipocrisia che si annida nei costumi perbenisti borghesi statunitensi parlando di libidine e incesto, ma liquida come dei cretini anche i figli dei fiori e tutto il movimento “flower power”. Si tratta di due “oratorii”, così li indica correttamente Zappa, uno per lato del disco, dove, nella fusione fra le singole canzoni (ciascuna un movimento di uno dei singoli oratorii), risulta un affresco sardonico degli States del conformismo ma anche della controcultura.

Il disco ovviamente non vende, ma la band, che ha raggiunto nove elementi, si diverte molto nei concerti, dove oltre alla musica propone uno show con forti componenti teatrali e performative. Si parla e interagisce molto con il pubblico senza alcun filtro. Una sera si presentano in tre spettatori e la band offre sul palco una cena ai tre recitando la parte dei camerieri e chiacchierando per tutta la serata. Un’altra serata gli spettatori sono quanti i musicisti: avviene una sostituzione e la band siede in platea mentre gli spettatori inscenano un improbabile concerto.

La MGM si dimentica di far valere la propria opzione sul contratto, quindi Zappa riesce a costruire una sua sottoetichetta, la Bizarre records, e con essa conquista maggiore libertà di azione. Esce il terzo album della band, in linea con il secondo, ma la figura di Zappa si fa sempre più dominante. Nel disco, “We’re only in it for the money”, 1968, con l’indimenticabile copertina parodia di Sgt. Peppers’ dei Beatles, compaiono due brani frutto delle costanti elaborazioni dei suoni che Zappa realizza in solitudine utilizzando tapes, loops, operazioni di collage musicali prodotti nel suo studio.

Il tempo di realizzare un capolavoro come Uncle Meat, del 1969, che dovrebbe intendersi anche come colonna sonora di un omonimo e improbabile monster movie, e la band si scioglie. E’ eccezionale in Zappa la visione estetica avanti di almeno una trentina d’anni rispetto ai pregiudizi per i b-movies e la rivalutazione del popular come fonte per bizzarre reintepretazioni. Le ragioni dello scioglimento sembrerebbero giuste ma anche pretestuoso: alcuni della band fanno uso di stupefacenti e Zappa è assolutamente contrario. C’è chi lo accusa di non di non sentirsi partecipe del gruppo. Ed effettivamente, uso delle droghe a parte, è proprio così. Zappa è pronto per un ulteriore passo che lo porterà ad agire in proprio aprendo nuove strade. Dell’ultimo periodo con la band rimarranno due splendide testimonianze: “Burnt Weeny Sandwich” e il free-form “Weasels ripped my Flash”.

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