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Il Professore, la Frau e la nostra ultima occasione

"Un risultato logico, quello raggiunto all’alba di venerdì, non un miracolo. Soprattutto non un regalo: solo, forse, se tutto va bene, un’ultima possibilità che ci viene offerta per risolvere da soli i nostri problemi".

Monti in questi mesi ha compiuto un lavoro straordinario, soprattutto dal punto di vista dell’immagine del nostro paese all’estero, in condizioni difficilissime (quando ha preso in mano il timone non pensavo avesse più del 30% di possibilità, o giù di lì, di evitare che la nave Italia andasse a picco nel giro di pochi mesi), ma non vi è nulla d’esaltante in quel che è riuscito a portare a casa in questa occasione.

Non solo non credo affatto che abbia costretto Merkel ad alcunché (credo anzi che i rapporti personali tra i due fossero e restino ottimi e che tanta della tensione che ha accompagnato il vertice sia stata una cortina fumogena stesa a beneficio degli elettori della signora) ma sono pure convinto che la creazione di un “serpentone degli spread” si fosse ormai delineata come l’unica soluzione oggettivamente praticabile: ad un tempo il minimo per cercare di calmare i mercati (e vedremo, passata l’euforia, quando verranno chiariti i dettagli del suo funzionamento, se sarà efficace) ed il massimo che si potesse convincere Otto e Franz, che alla fine dovranno saldare gli eventuali conti, ad accettare.

Un risultato logico, quindi, quello raggiunto all’alba di venerdì, non un miracolo.

Soprattutto non un regalo: solo, forse, se tutto va bene, un’ultima possibilità che ci viene offerta per risolvere da soli i nostri problemi; per uscire, con le nostre forze, da una crisi perlomeno trentennale, ben più antica e profonda di quella finanziaria che sta colpendo il resto del mondo industrializzato.

Per questo, pensando al nostro recente passato, a come abbiamo sprecato l’occasione di sistemare i nostri conti rappresentata dall’entrata nell’Euro, e da decennio in cui abbiamo potuto finanziare il nostro debito a pochissimo prezzo, non riesco ad essere ottimista; anzi, nonostante resti convinto che basterebbe pochissimo per far ripartire l’Italia, lo spettacolo offerto dalla nostra società, prima che dalle nostre forze politiche, proprio di fronte ai tentativi minimi compiuti da Monti per cambiare lo stato delle cose, mi induce a pensare che non risaliremo prima d’aver toccato davvero il fondo.

Pare che non riusciamo a capire, come comunità nazionale, che anche se i tedeschi o i marziani si assumessero in toto il nostro debito, continueremmo ad essere indirizzati verso un futuro, peraltro già iniziato, di sempre maggiore povertà.

Vanno male le nostre aziende, troppo piccole e troppo vecchie, nei prodotti come nelle idee, che riescono a malapena a competere solo grazie ad un costo del lavoro tra i più bassi di tutta l’OCSE e va peggio il nostro sistema finanziario, una sanguisuga che tutto fa tranne, appunto, finanziare innovazione e sviluppo. 

Non vanno affatto la nostra burocrazia, che sembra non avere altro scopo che quello di giustificare la propria esistenza, e la nostra pubblica amministrazione: la più inefficiente, e di gran lunga, del mondo sviluppato. E’ una vera e propria vergogna la gestione di tanti enti locali, di tanti comuni, province ed intere regioni; un disastro sotto gli occhi di tutti che continua, da decenni, con la complicità ed i voti di quasi tutti.

Problemi gravissimi, ma intrecciati strettamente tra loro e che crescono sul terreno comune della mancanza di autostima (di fiducia in se stessi e quindi negli altri) di una collettività che, finita la spinta propulsiva della ricostruzione, si è rinchiusa nel ghetto della famiglia o in quello, solo più esteso, della corporazione.

Dovremmo cambiare, imparare a rischiare, aprire le nostre categorie alla concorrenza e la nostra società al merito, ma quest’ultima parola è anatema e i diritti acquisiti, non importa come e a spese di chi, non si toccano. Vorremmo che si creassero posti di lavoro per i nostri giovani, ma non ci passa neppure per l’anticamera del cervello di chiederci perché mai qualcuno dovrebbe rischiare i propri denari per crearli. Vorremmo che vi fosse innovazione, ma non siamo disposti a concedere il minimo premio a chi innova. Vorremmo dei servizi pubblici efficienti, ma non siamo disposti ad imputare un grammo di responsabilità a chi dovrebbe farli funzionare; in certe comunità montane, pare una barzelletta, l’assenteismo arriva all’85%? A Roma va al lavoro in media (dati forniti dalla giunta Veltroni) un vigile urbano su due? Ma, si sa, la colpa é della politica. Di quella degli altri, s’intende.

Siamo tutti, o quasi, dei “tassisti” o dei "notai"; dei reazionari dentro. Categoria a cui appartengono anche tanti dei nostri rivoluzionari di cartapesta; quelli pronti a parole ad impugnare il forcone (sicuri di sapere come si fa?), ma che fanno scena muta quando si chiede loro quali sacrifici personali sarebbero disposti a fare (hanno già dato; per definizione) e, soprattutto, quali cambiamenti sarebbero disposti ad accettare.

“Senza conservatori e senza rivoluzionari, l’Italia è diventata la patria naturale del costume demagogico”, scriveva Gobetti nel ’24. 

Oggi, guardando alla società italiana, viene solo da chiedersi quale sarà il colore delle camicie dei nuovi sansepolcristi. Per la rete, se non per le strade, girano già.

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