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I profughi palestinesi: un nodo ancora irrisolto

Tra i problemi inerenti il conflitto israelo-palestinese il più complesso da risolvere è quello che riguarda i rifugiati palestinesi. Il numero ad oggi ammonta a circa 3 milioni di persone, cifra oscillante se si tiene conto che i servizi vengono garantiti a tutti i discendenti dei profughi palestinesi della guerra del 1948.

 

Nel corso del primo conflitto arabo-israeliano lo spostamento di migliaia di persone, dai loro abituali luoghi di residenza, ha generato il problema dei profughi palestinesi e dei rifugiati. Gli arabi parlano di nakba, ossia di “catastrofe” e la convinzione diffusa è che il loro allontanamento fosse solamente temporaneo. Su questa convinzione gravano le diverse posizioni di arabi e israeliani.

Gli arabi affermano che il loro allontanamento fosse un piano preordinato dagli israeliani per avere territori liberi dalla loro presenza o che ci fosse solo una minoranza esigua; mentre la convinzione israeliana spiega come il fenomeno dei profughi fosse colpa degli eserciti arabi, i quali avevano chiesto l’allontanamento per avere più spazio per gestire la distruzione dello Stato ebraico.

Sin dall’inizio le raccomandazioni dell’ONU, espresse attraverso il Conte Bernadotte sul diritto al ritorno dei rifugiati, veniva recepito dalla Risoluzione 194 dell’Assemblea generale nel dicembre del 1948. La risoluzione mirava a fornire la base di una soluzione in cui i rifugiati palestinesi potevano ritornare nelle loro case e vivere in pace con i loro vicini o, se volevano, potevano scegliere di non ritornare e avere un equo risarcimento.

Lo Stato ebraico si è sempre rifiutato di riconoscere qualsiasi responsabilità storica della questione profughi e ammette solo un diritto al ritorno simbolico. Per Israele il problema fa parte di una sola porzione dell’intera soluzione, inoltre afferma che l’entrata dei rifugiati nelle terre d’origine creerebbe problemi sia per la sicurezza che per la struttura demografica israeliana; in poche parole verrebbe messa in seria discussione l’identità ebraica dello Stato d’Israele.

I palestinesi, invece, chiedono l’applicazione del diritto al ritorno della loro gente nella terra d’origine e l’accettazione da parte d’Israele della responsabilità storica della questione profughi. Infine, da parte dei Paesi arabi i profughi rimangono una carta negoziabile spendibile per le pressioni sia sul governo israeliano che sull’Autorità palestinese.

L’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente -UNRWA)- creata per la questione profughi, agisce in Cisgiordania, Striscia di Gaza e negli Stati del Libano, Siria, Giordania.

L’agenzia lavorava e lavora per prevenire le carestie e le sofferenze con aiuti umanitari e definisce - secondo la risoluzione - rifugiati: “persone la cui normale residenza è stata la Palestina per almeno due anni prima del conflitto del 1948 e che, come conseguenza di tale conflitto, hanno perduto la propria casa e i propri mezzi di sussistenza e hanno trovato rifugio in uno dei paesi in cui l’UNRWA presta la sua opera di soccorso”.

L’esperienza dei rifugiati differisce in base ai paesi di accoglienza. I governi di Siria, in misura minoritaria, e Giordania, in misura maggioritaria, hanno adottato una politica di relativo sostegno a favore dei palestinesi, garantendo diritti sociali ed economici pari a quelli dei propri cittadini.

La Giordania, che ospita il maggior numero di profughi, ha conferito la cittadinanza ai rifugiati tranne per quelli provenienti dalla Striscia di Gaza, in quanto le autorità regie non hanno mai avuto l’amministrazione della Striscia come invece avvenne con l’Egitto fino al ’67. Invece l’esperienza dei rifugiati palestinesi in Libano è unica. Le politiche adottate dai governi libanesi hanno sempre mirato ad isolare le comunità palestinesi dall’economia e dalla politica. I palestinesi vengono esclusi da molte professioni (circa settanta) e il rifiuto dei governi di ricostruire i campi profughi distrutti dalle guerre o autorizzare gli stessi palestinesi alla costruzione di nuovi campi rende la situazione molto torbida.

Infatti, ancora oggi i campi di raccolta sovraffollati con condizioni igienico sanitarie molto scarse sono la regola e, nonostante l’agenzia UNRWA svolga attività di istruzione, servizi sanitari, sociali e di sostegno per la popolazione, la situazione rimane critica. Nei mesi scorsi davanti alle proteste di piazza a Beirut anche i profughi palestinesi chiedevano migliori condizioni di vita, chiedevano la libertà di poter lavorare e vivere dignitosamente.

Salvatore Falzone

Commenti all'articolo

  • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.107) 14 dicembre 2019 19:19
    Fabio Della Pergola

    Non ha alcun senso parlare di milioni di "profughi" riferendosi alle guerre originate dai paesi arabi contro Israele. Dopo mezzo secolo dall’ultimo conflitto (1973) i palestinesi fuggiti o cacciati da Israele si equivalgono come numero a quelli, ebrei, cacciati dai paesi arabi. Ormai sono o avrebbero dovuto essere integrati nei paesi di accoglienza come i profughi istriano-dalmati furono accolti e integrati in Italia. Il problema non riguarda più Israele (se non per un eventuale ritorno simbolico da concordare nell’ottica di un piano di pace risolutivo) ma gli stati arabi che devono superare le discriminazioni verso i palestinesi come ha fatto la Giordania da tempo.

    • Di Salvo (---.---.---.192) 15 dicembre 2019 20:37
      Salvo

      E’ vero che i profughi siano dovuti alle guerre (1948-49, 1967, 1973) dovute alle iniziative dei Paesi arabi; è vero che il numero dei profughi palestinesi, tenendo conto che fino al ’67 non si parlava di identità palestinese se non in una vasta cornice araba, equivalgono al numero di ebrei cacciati dai Paesi arabi come ritorsione, specie nel corso del primo conflitto. Ancora oggi, dovuta ad una certa poltica dei dirigenti arabi e degli stessi leader palestinesi, il punto della "questione profughi" viene posto ad ogni iniziativa di pace come imprescindibile generando aspettative irrealizzabili. 

  • Di Persio Flacco (---.---.---.225) 16 dicembre 2019 22:56

    Beh, che a chiedere lo spostamento degli arabi nativi siano stati i Paesi arabi per avere più spazio è davvero una trovata ineffabile. L’avrebbe trovata divertente anche Benny Morris: storico ebreo israeliano che sulla pulizia etnica della Palestina ha scritto saggi ben documentati.

    Quanto alla pretesa che i Paesi arabi, accogliendo come propri cittadini i profughi palestinesi, risolvano qualche problemino di legalità al regime sionista (al quale peraltro non pesa affatto violare il diritto internazionale) è anch’essa ineffabile.

    Comunque sarebbe prematura una soluzione del genere. Nei progetti del regime sionista la pulizia etnica non è affatto finita, dunque si prevedono ancora nuovi profughi.

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