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I braccianti migranti al centro dell’emergenza: "Senza di loro, niente cibo sugli scaffali"

La Flai-Cgil, sindacato dei lavoratori dell’agroindustria, ha lanciato un appello alle più alte cariche dello Stato per chiedere, in questo momento di emergenza sanitaria senza precedenza, una sanatoria per tutti i migranti irregolari (qui il nostro articolo). Incontriamo nuovamente Jean-René Bilongo che della Flai-Cgil è dirigente nazionale. 

Bilongo, di origine camerunese e con un passato di lavoro e volontariato in Campania, è oggi anche attivo nell’Osservatorio Placido Rizzotto, ente che indaga sull’intreccio tra filiera agroalimentare e criminalità organizzata, particolarmente attento al fenomeno del caporalato.

In un appello a Mattarella e al Governo, la Flai-Cgil e l’Associazione Terra! hanno espresso “inquietudine e preoccupazione per le condizioni di migliaia di lavoratori stranieri impiegati nel settore agricolo”. Puoi darci un quadro della situazione? 

La Flai-Cgil ha promosso, insieme all’associazione Terra!, la lettera-appello per porre un tema concreto. Nonostante la pandemia, la scansione del quotidiano di molti migranti non è cambiata, specie nei bacini a forte trazione agricola. Sono costretti a lavorare senza dispositivi di protezione, schiacciati dagli sfruttatori e i caporali che, come sempre, li stipano all’inverosimile nei mezzi per portarli nelle campagne. La nostra inquietudine parte anche da un’altra consapevolezza: non ci sono misure né interventi che prendano in considerazione i tanti accampamenti informali rurali e i ghetti nelle quali trovano rifugio tutte queste fragilità sociali. A Borgo Mezzanone, a San Ferdinando, sul Litorale Domitio e in numerosi altri luoghi del Paese, non si può fare finta di non vedere questa umanità abbandonata. Da qui la lettera-appello che vede tante organizzazioni e associazioni impegnate sul fronte della sussidiarietà – da Oxfam, Arci, Acli Terra, Caritas italiana a Medu, da Libera, Avviso Pubblico, l’associazione Jerry Masslo a l’ex Canapificio di Caserta – così come autorevolissimi nomi della società civile, da Roberto Saviano a Mimmo Lucano, dal Vescovo Emerito di Caserta Raffaele Nogaro a Renato Natale sindaco di Casal di Principe (CE), medico e attivista per i diritti dei migranti e tantissimi cittadini tutti accomunati dalla preoccupazione per i migranti, trascurati e negletti. Chiediamo interventi specifici, partendo intanto dalla loro messa in sicurezza. Se la raccomandazione basica è quella di lavarsi spesso le mani, come si fa in quegli accampamenti dove l’acqua non c’è? Occorre essere conseguenti. Chiediamo anche la regolarizzazione di chi è sprovvisto del Permesso di Soggiorno.

Quanti sono i migranti impiegati in agricoltura? Quanti si stima siano gli irregolari?

Più che i migranti occupati in agricoltura, c’è bisogno di attenzione agli “invisibili” dell’agricoltura. L’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai-Cgil stima che siano tra 160 e 180mila i migranti dei soli accampamenti di fortuna e ghetti. Sono gli stessi che sono sfruttati nell’economia agricola, spesso in condizioni non dissimili dalla schiavitù. Mi riferisco in particolare ai richiedenti asilo respinti dalle Commissioni Territoriali e agli ex beneficiari della Protezione Umanitaria che sono stati definitivamente asfaltati dal decreto sicurezza di Salvini. Parliamo di decine e decine di migliaia di donne e uomini, in molti casi con figli piccoli al seguito, senza presente e nessun futuro. L’ISPI, Istituto per gli Studi Politici Internazionali, stima in quasi 700mila gli immigrati senza permesso di soggiorno presenti in Italia. Per preservarli dalle fauci dello sfruttamento e del caporalato, diciamo con forza che vanno regolarizzati. Così possono essere assunti con regolare contratto di lavoro. La Flai-Cgil, che presidia quotidianamente l’economia del lavoro agricolo con il “sindacato di strada” quindi ha il polso della situazione e la politica deve saper ascoltare chi sta sul campo.

Che pericoli corrono nella situazione attuale?

Bisogna chiedersi cosa si fa se scoppia un focolaio in un accampamento di fortuna. In contesti molto difficili dove si accalcano centinaia, o addirittura migliaia di persone in assoluta precarietà, diciamo che l’intervento più utile è metterle in sicurezza rispetto all’eventuale contagio da coronavirus. Semplicemente chiediamo che quelle presenze non siano ignorate, abbandonate. Un esempio: il Dpcm del 9 marzo accorda ai Prefetti ulteriori prerogative sul territorio. Si possono requisire strutture. Ecco, nei ghetti tanti immigrati si accalcano in spazi non solo esigui, ma anche insalubri. Al contempo ci sono caserme in disuso, per fare un altro esempio. Possono essere requisite e allestite per poi essere adibite a ripari collettivi. 

Una soluzione che tu stesso hai messo in evidenza in tuoi interventi pubblici è paradossalmente introdotta con il decreto Salvini, il “permesso di soggiorno per calamità”? Può essere una soluzione tampone per i prossimi mesi? Da sola basta?

La norma c’è, in verità è ripescata dalla Turco-Napolitano e determina ipso facto il rilascio del Permesso di Soggiorno a chi n’è sprovvisto in presenza di una “situazione di contingente ed eccezionale calamità”. Il coronavirus lo è, è stato dichiarato pandemia dall’Oms, non risparmia nessun paese del mondo. Siamo convinti che quella norma sia esigibile. Il Decreto Sicurezza era stato pensato come una ghigliottina in una stagione in cui un brutto vento soffiava sull’Italia, con gli immigrati diventati agnelli sacrificali su ogni fronte. Il Decreto Sicurezza di Salvini ha buttato in mezzo alla strada e nei ghetti i beneficiari della protezione umanitaria, consegnandoli di fatto nelle fauci dello sfruttamento e del caporalato. Ora l’eccezionale calamità c’è e la norma sui permessi di soggiorno è esigibile. 

E per il dopo emergenza? Credi ci sia davvero spazio politico per una sanatoria?

Il Permesso di Soggiorno per eccezionale calamità seppur temporaneo consente di lavorare ed è rinnovabile finché perdura l’emergenza. La prospettiva semmai è quella di pensare e prevedere sin d’ora che i permessi di soggiorno rilasciati siano riconosciuti dopo come permessi, diciamo, ordinari. Intanto la sua applicazione permettere di far fronte alla carenza di manodopera agricola che si verifica in tante aree del Paese. Guai a pensare che quella sia manodopera da sfruttare. La Flai-Cgil non transigerà sull’applicazione dei Contratti Collettivi di riferimento.

Come si sta evolvendo il lavoro sindacale di tutela dei braccianti in questo momento di forte restrizioni ai movimenti?

La situazione è complicata, ma l’impegno della Flai-Cgil resta uguale a sé stesso. Il caporalato impera, visto che l’ombra dissuasiva degli Ispettori è fortemente ridimensionata in questa fase. Gli ispettori sono costretti all’espletamento telematica delle proprie funzioni. In altre parole, è improbabile che facciano controlli sul posto. I caporali l’hanno capito bene e sono più ghignanti del solito. La Flai-Cgil non si tira indietro. Nessuno deve rimanere indietro e ancor meno le lavoratrici e i lavoratori dell’economia agro-pastorale così straordinariamente fondamentali in questa fase. Senza di loro, non ci sarebbero frutta, verdura e altri generi agricoli sugli scaffali. Dobbiamo averne tutti consapevolezza.

Un’ultima domanda. Come secondo te l’Italia e l’Europa dovrebbero affrontare da lì in poi il tema immigrazione in agricoltura? 

Noto un’inedita convergenza sull’importanza, da tutti riconosciuta, del lavoro agricolo che garantisce la sicurezza alimentare in questa fase. In molti paesi europei, il coronavirus costringe a guardare il lavoro agro-pastorale da una prospettiva diversa, per la qualificata presenza migrante. Tante granitiche certezze pregresse sono messe in discussione e tutti ci siamo scoperti fragili, ma complementari gli uni agli altri. 

 

Jean-René Bilongo è anche giornalista e scrittore, l’ultimo suo libro è Spezzare le catene. Un lavoro libero tra centri commerciali e caporalato, edito da Città Nuova (2019).

Questo articolo è stato pubblicato qui

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