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Grecia: vince il No

Grande è stata la saggezza del popolo greco che, nonostante la serie di errori tattici di Tsipras e Vanoufakis, ha scelto massicciamente il "No". Il peggio (la vittoria della Merkel e dei suoi servitori greci, italiani, francesi ecc.) è stata scongiurato. E’ un test degli umori reali dei popoli europei (quantomeno quelli del sud) nei confronti della fallimentare politica dell’austerità.

Probabilmente le due molle principali di cui Tsipras ha potuto giovarsi sono state l’insopportabilità della situazione di gran parte dei greci e l’orgoglio nazionale di gente che dei tedeschi non ha un bel ricordo (e, se è per questo, neanche noi be abbiamo un gran bel ricordo).

E’ giusto godere di questo momento di vittoria, ma non è il caso di lasciarsi andare a facili entusiasmi: qui si è vinta una battaglia, ma la guerra continua. Soprattutto Tsipras ha vinto in Grecia ma non in Germania e la Merkel non è troppo sensibile agli umori dell’elettorato greco: gli sarebbe andata benissimo una vittoria del "Sì" per togliersi dalle scatole Tsipras, ma una vittoria del No non significa automaticamente a cambiare linea.

Dunque, la battaglia con la Merkel non è affatto decisa: certo, Tsipras e Vanoufakis, nonostante la loro terrificante pasticcioneria, hanno avuto un coraggio ed una coerenza ammirevole nel non inginocchiarsi di fronte alle sanguisughe Ue e Bce, però non è detto che questo basti. Adesso vediamo come reagiscono i signori della controparte.

Sono d’accordo con chi mi ha scritto che qui si apre un bivio: o “bastonarne uno per educarne cento” e fare della Grecia la vittima sacrificale, oppure, scontare un minimo di “lutto vedovile” per la sconfitta e poi procedere ad una ristrutturazione del debito pubblico europeo, assorbendo una parte del debito in eccesso stampando un po’ di carta moneta a favore non solo della Grecia, ma anche degli altri paesi deboli (altrimenti non si giustificherebbe).

Non c’è dubbio che la seconda soluzione sia quella razionale e preferibile, ma temo che la seconda soluzione sia più facile a dirsi che a farsi. Il punto è che l’Euro non è pensata come una moneta espansiva: dai trattati istitutivi che fissano i limiti all’indebitamento, al deficit di spesa ecc, alla struttura stessa della Bce come soggetto di diritto privato governato da un board di banche centrali a loro volta “indipendenti” dai rispettivi governi, tutto dice che l’austerità è connaturata a questa moneta, fa parte del suo Dna, perché è pensata come “moneta del creditore” per cui l’ordinamento deve garantire in primo luogo che la moneta non perda di valore con eccessive emissioni. Certo, i trattati sono fatti per essere disattesi più o meno marginalmente o essere addirittura stracciati (sai che novità!?) ma a decidere sono i rapporti di forza e questi, per ora, non sono favorevoli né alla Grecia in particolare, né al “partito della moneta espansiva” in generale.

Il pallino è nelle mani della Merkel che deve stare attenta a non fare passi falsi perché è sotto ricatto di Afd: mostrarsi “arrendevole” con gli odiati Pigs potrebbe costarle una frana elettorale sulla destra, mentre in Germania non ci sono segni di contestazioni da sinistra (anche dalla parte della Linke che ormai è un grazioso soprammobile sulla scrivania della kanzelerin).

Poi anche Draghi, per una serie di ragioni, non è orientato a particolari concessioni alla Grecia. A proposito di Draghi, concedetemi una piccola digressione.

Ho ritrovato “Il Sole 24 ore” del 21 febbraio 2013:

"Il presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, stacca di oltre 200 mila dollari il suo omologo alla Federal Reserve, Ben Bernanke, sul fronte stipendio. Secondo il bilancio annuale della Bce, nel 2012 lo stipendio base del numero uno dell’Eurotower è stato di 374.124 euro, pari a 493.694 dollari, mentre quello di Bernanke, secondo i dati di Bloomberg, è stato di 199.700 dollari. Draghi fa anche meglio del governatore della Banca d’Inghilterra, Mervin King, che nel 2012 ha avuto uno stipendio di 465.869 dollari". 

Considerato che Draghi percepisce anche la pensione dalla Banca d’Italia ed è quello che parla di austerità, direi che non è la faccia quello che manca!

Tornando al nostro ragionamento, la prima reazione che dobbiamo studiare è già domani quella riguardante le banche: se realmente cesserà il rifornimento di denaro alle banche greche già da domani, vuol dire che si stanno predisponendo allo scontro a muso duro, significherebbe spingere Atene ad emettere una sua moneta “complementare”, quello che giustificherebbe anche sul piano giuridico l’esclusione dall’Euro. E questa potrebbe essere una brutta grana per Tsipras che ostinatamente ha seguitato ad assicurare i greci che sarebbero rimasti nell’Euro. Sono sempre più convinto che se la Grecia ha un futuro è fuori dall’Euro, ma un conto è venirne fuori contrattando la cosa con gli altri e ben altra cosa è esserne sbattuti fuori da un giorno all’altro. In questo caso dovremmo valutare le reazioni della piazza e, soprattutto, delle Forze Armate che in Grecia non hanno gran belle tradizioni.

Il problema principale di Tsipras è la mancanza di un piano di rilancio dell’economia del suo paese: anche con il taglio del debito e con l’ennesimo salvataggio, l’economia greca resta fortemente squilibrata. Il taglio del debito può riaggiustare un po’ la bilancia dei pagamenti, ma la bilancia commerciale continua ad essere un pianto ed i greci non possono pensare di farcela solo con il turismo. Occorre rimettere in piedi il settore manifatturiero che la politica di austerity ha spazzato via e crearne di nuovo. Infatti anche l’uscita dall’Euro da sola non garantisce la ripresa dell’economia greca se non c’è nulla da esportare. E, per rimettere in piedi una decente manifattura o servizi all’estero, occorre trovare i finanziamenti, cosa non facile dopo che si è appena fatto un haircut.

Certo, Tsipras può cercare sponda a Mosca o Pechino e avvalersi dall’appoggio della nuova banca dei Brics. Ma anche questa potrebbe essere una scelta facile ed indolore.

Recentemente ho letto la dichiarazione di un autorevole commentatore americano che, per proteggere la Grecia dal terrorismo islamico, non sono da escludere interventi militari sul suo territorio: un avviso?
Insomma, qui i giochi sono ancora tutti da fare e il maggiore punto di debolezza della Ue è stato quello di guardare alla crisi greca solo come problema finanziario, senza guardare al conto economico ma, soprattutto, senza tener conto dei dati geopolitici della questione.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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