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Gran Premio F1 in Bahrein: il circuito della repressione

Un rapporto sul Bahrein, diffuso da Amnesty International alla vigilia del Gran premio di Formula 1, descrive le dilaganti violazioni dei diritti umani – tra cui torture, detenzioni arbitrarie e uso eccessivo della forza contro attivisti pacifici e oppositori del governo – che continuano ad avere luogo nel paese quattro anni dopo la rivolta del 2011.

L’attenzione del mondo saranno puntati sul regno della famiglia al-Khalifa, uno dei ricchi stati del Golfo persico premiati dalle risorse del sottosuolo e da una posizione strategica che fanno chiudere tutti e due gli occhi agli Usa, al Regno Unito e agli altri stati dell’Unione europea.

In pochi realizzeranno che il tentativo delle autorità di promuovere l’immagine di un paese riformatore e progressista, impegnato a rispettare i diritti umani, nasconde una verità molto tetra.

Dopo l’intervento delle truppe del Consiglio di cooperazione del Golfo, le autorità del Bahrein hanno continuato a esercitare il potere attraverso una crudele repressione nei confronti del dissenso; attivisti pacifici e oppositori del governo continuano a essere arrestati e condotti nelle prigioni di tutto il paese.

Nella capitale Manama, tutte le proteste in pubblico sono proibite da circa due anni. Quelle organizzate fuori dalla capitale sono regolarmente interrotte dalla polizia con l’uso di gas lacrimogeni e di fucili caricati con pallini da caccia, e terminano con feriti gravi o morti tra i manifestanti.

I detenuti in attesa di processo vengono regolarmente torturati per costringerli a “confessare”. Il rapporto di Amnesty International illustra decine di casi di detenuti picchiati in modo crudele, privati del sonno e di cibo sufficiente, ustionati con sigarette e ferri da stiro, sottoposti a molestie sessuali, e colpiti da scariche elettriche anche sui genitali. Uno è stato stuprato con un tubo di plastica inserito nell’ano.

Nonostante una serie di riforme legislative e la nascita di alcune istituzioni statali sui diritti umani, sulla base delle raccomandazioni della Commissione indipendente d’inchiesta del Bahrein (Bici), un organismo creato per indagare sulla dura repressione delle proteste nel 2011, la maggior parte di queste misure ha avuto un impatto pratico minimo.

Le riforme legislative introdotte per abolire i limiti alla libertà di espressione, associazione e assemblea sono andate di pari passo col mantenimento e il rafforzamento delle leggi repressive. La brutalità continua a rappresentare il marchio di fabbrica delle forze di sicurezza.

Gli attivisti e i leader politici arrestati sono spesso accusati di reati contro la sicurezza nazionale, come “istigazione all’odio verso” oppure “minaccia di rovesciare” il governo. Il leader di al-Wefaq, il principale gruppo d’opposizione, è sotto processo per queste accuse.

Altri sono stati imprigionati sulla base di leggi che vietano insulti od oltraggi alle più alte cariche dello stato, ai funzionari pubblici civili e militari o ad altre istituzioni governative, alla bandiera e ai simboli dello stato.

Attivisti di spicco tra cui Nabeel Rajab e Zainab al-Khawaja sono tra le molte persone in attesa di processo o condannate a pene detentive solo per aver postato commenti su Twitter o, in un caso, aver letto una poesia durante una festività religiosa.

Leggi restrittive sulle associazioni politiche sono state introdotte per permettere alle autorità di sospenderne le attività, chiuderle o partecipare ai loro incontri con organizzazioni straniere o rappresentanti del governo. I difensori dei diritti umani sono sottoposti a intimidazioni e molestie e una bozza di legge sulle Ong minaccia di restringere ulteriormente la loro libertà.

Negli ultimi anni, l’ingresso nel paese di organizzazioni per i diritti umani e giornalisti stranieri è stato ristretto in quello che è parso uno sforzo coordinato per limitare il monitoraggio sulla situazione dei diritti umani nel paese.

Il mancato rispetto degli impegni da parte del governo ha dato luogo a una tensione crescente in tutto il paese, con ricorrenti episodi di violenza nelle proteste e l’aumento degli attacchi contro gli agenti di polizia. Di conseguenza, le autorità hanno irrigidito le norme antiterrorismo ed esteso i loro poteri fino a revocare la nazionalità di chi è considerato un oppositore del governo.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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