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 Home page > Tribuna Libera > Governo del cambiamento sì, ma in che senso?

Governo del cambiamento sì, ma in che senso?

Se le parole avessero il potere di materializzarsi in fatti, avremmo due possibilità. La prima, quella di veder realizzarsi davvero le promesse, le ostentate dichiarazioni di questo o quel politico. La seconda: quella di vedersi materializzarsi le parole, ma in tutta la loro accezione negativa.

 

Prendiamo ad esempio uno dei termini più battuti negli ultimi mesi da chi, oggi, governa l’Italia: “cambiamento”. Attenzione, ogni termine contiene sia l’accezione positiva sia quella negativa. Facciamo un piccolo esperimento. Se io dico “Il nostro sarà il governo del cambiamento” e lo dico dopo aver elencato le negatività realizzate dai governi precedenti, ecco che chi mi ascolta, assimilerà il termine con la sua accezione positiva. Farò quindi pensare a chi mi ascolta, che con il mio avvento al governo, le cose cambieranno in meglio.

Se, invece, la mia dichiarazione sarà solo “Il nostro sarà il governo del cambiamento”, esattamente come è accaduto durante tutta la lunga e penosa campagna elettorale precedente alla nomina dell’attuale governo in carica, e come ogni protagonista di questo governo ha continuato a dichiarare, senza però chiarire cosa si intenda per “cambiamento” bè, allora è un’altra storia.

Cosa e come si vuol cambiare la situazione nazionale? La si vuol migliorare? Come? Cosa si vuol cambiare e perché? Silenzio di tomba. Nessuno ce lo chiarisce.

Faccio un esempio: recentemente il governo, compatto, ha votato contro un emendamento avanzato da LeU. Un emendamento molto importante per i diritti dei lavoratori italiani, visto che si trattava di avanzare la proposta di reintrodurre l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Si, proprio quello cancellato dal Jobs Act del governo Renzi, e che ai tempi dei governi Berlusconi era uno dei leitmotiv, mai ratificati, per ovvie ragioni di opportunità e di conservazione della faccia nei confronti dell’elettorato.

Ora: non erano quelli del M5S che ululavano contro la negazione dei diritti dei lavoratori a causa della cancellazione dell’articolo 18? Si, erano proprio loro. Ma in tempi diversi, prima di salire al governo, anzi no; al potere, che è cosa diversa dal governare. Anzi, è proprio un ossimoro in una nazione a regime democratico.

Per non perder di vista la realtà - vista l’aria che tira in tema di bufale, fake news e compagnia briscola – realtà che sta divenendo sempre più difficile da mantener salda, a causa dell’ignobile inferno provocato con questa assurda libertà di diffusione di castronerie data dal web, ecco un bel video che conferma le convinzioni che, all’epoca, venivano diffuse dall’ex Movimento: Di Maio, reintroduzione articolo 18 sopra i 15 dipendenti.

Tornando al tema centrale: cambiamento si, ma in che senso? Non vogliamo saperne di cambiamenti peggiorativi, di conseguenza chi sta al governo chiarisca cosa si intende per “Governo del cambiamento”, visto che fino ad ora, abbiamo si cambiato rotta – è proprio il caso di dirlo viste le azioni da pugno duro incoerente di Salvini sui flussi migratori – ma dipende verso dove stiamo andando.

Il “Decreto dignità” sotto il quale Di Maio ha posto la sua firma, fa acqua da tutte le parti. Mi chiedo, peraltro, se Di Maio abbia letto una sola riga del decreto in questione. Le azioni di Salvini sono contrarie a tutto ciò che un vero Ministro dell’Interno dovrebbe saper fare. Non è facendo l'imperatore romano, che si aggiustano gli sfasci di un sistama paese come quello italiano. Conte, il Premier, corre di qua e di la a prendere ordini, e pacche sulle spalle, da nazioni come gli USA da cui dovremmo – semmai – dipendere un poco meno.

Volevate il cambiamento, ma non vi siete posti la domanda fondamentale: quale cambiamento?

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di pv21 (---.---.---.166) 4 agosto 2018 19:49

    Penalty >

    NESSUN ascoltatobeneficio” economico/sociale del governo gialloverde avrà un effetto concreto entro l’anno corrente. Le prime “avvisaglie” si potranno saggiare solo nel corso del 2019.

    Ossia, se va bene, dopo almeno 1 anno dal voto deposto nelle urne.


    Per contro assistiamo a quotidiane dispute verbali su “ragioni” di principio e su particolari “eventi” di cronaca locale.

    E’ fatto risaputo che un uso “studiato” della parola può generare “malanni” ben aldilà di un qualche provvedimento “avventato”.


    Nel frattempo il sistema Paese, con i tanti problemi aperti, rischia anche un nuovo penalty, tipo quello di fine 2011.

    REALE libertà di scelta è evitare di finire Travolti dalle Informazioni

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