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Giulio Regeni, quel corpo torturato che chiede verità

La mattina del 3 febbraio di un anno fa, in un fosso lungo l’autostrada Cairo – Alessandria, veniva ritrovato il corpo, orribilmente torturato, di Giulio Regeni: una prassi comune sin dai tempi di Hosni Mubarak, quella di disfarsi dei corpi delle persone fatte sparire e torturate a morte.

Sono trascorsi 365 giorni esatti. Da allora, nonostante gli sforzi della procura di Roma, la verità su chi abbia sequestrato, sottoposto a sparizione forzata, torturato e ucciso Giulio non è ancora emersa.

Dopo mesi e mesi di depistaggi e versioni grottesche e insultanti (una delle quali costata la morte a cinque innocenti), la timida e tardiva collaborazione delle autorità giudiziarie egiziane ha portato ad almeno una conclusione: che qualche persona appartenente agli apparati di sicurezza del Cairo sia stata coinvolta.

Siamo a quella cosiddetta “verità di comodo”, che chiama in causa singole “mele marce” che avrebbero agito fuori controllo, senza ricevere ordini e senza riferire ad altri, in altre parole senza una catena di comando.

Una verità che non sta in piedi ma che rischia di essere quella finale, per stanchezza, per impossibilità di ottenere di più, perché in qualche modo, a un certo punto, “questa storia deve finire”.

È quello che ci dicono espressamente dal Cairo, in questi ultimi giorni: disposti a proseguire nella collaborazione (beninteso, non oltre la “verità di comodo”) ma i rapporti devono tornare normali.

Ed è quello che, ancora con un certo pudore, si dice anche in Italia: accontentatiamoci.

La risposta, da parte di chi considera l’omicidio di Giulio una grave violazione dei diritti umani e non un intralcio alle normali relazioni tra Italia ed Egitto (peraltro quelle economiche, nel settore energetico, sono proseguite senza problemi), è semplice: non ci accontentiamo.

Non ci accontentiamo di una verità parziale e continuiamo a giudicare il ritorno dell’ambasciatore italiano al Cairo sia intempestivo e controproducente.

Intanto, per tenere viva la sua memoria, gli amici di Giulio e il Collegio del mondo unito dell’Adriatico Onlus presentano oggi alla Camera dei deputati una sottoscrizione pubblica per la raccolta di borse di studio.

Tali borse, su richiesta della famiglia Regeni, saranno destinate a studenti egiziani selezionati esclusivamente in base al merito dalla Commissione nazionale dei collegi del mondo unito in Egitto.

Gli studenti andranno a studiare al Collegio del mondo unito dell’Adriatico Onlus di Duino (Trieste). Giulio si era diplomato presso il Collegio del New Mexico, Usa ed era nato e cresciuto a pochi chilometri da quello di Duino.

Le borse saranno quindi legate a un luogo dove la memoria di Giulio concretamente perdurerà nel tempo.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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