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Giornata mondiale del libro: io non leggo perché?

Oggi si celebra in tutto il mondo la Giornata del Libro e del Diritto d'autore, istituita dall'UNESCO nel 1996. In Italia, è stata promossa l'iniziativa #ioleggoperché: eventi, letture, ospiti nelle piazze di alcune città della penisola, tra cui Roma, Milano e Vicenza. Ma a cosa serve dedicare una giornata al libro, quando ormai nessuno ha più rispetto per la sacralità della scrittura? 

Il 23 aprile si celebra in tutto il mondo la Giornata del Libro e del Diritto d'autore, istituita dall'UNESCO nel 1996. In Italia, è stata promossa l'iniziativa #ioleggoperché: eventi, letture, ospiti nelle piazze di alcune città della penisola, tra cui Roma, Milano e Vicenza. 

Ma a cosa serve onorare la Giornata mondiale del Libro un giorno all'anno se poi domani troveremo articoli grammaticalmente sbagliati, libri in uscita scevri di qualsiasi contenuto, programmi televisivi che si giovano dell'ignoranza del telespettatore medio (leggi LeIene, Voyager e simili)? A cosa serve tessere le lodi della lettura, cantarne pregi e virtù, se non si è nemmeno consapevoli di cosa voglia dire leggere, sfogliare, sottolineare, rileggere, capire? A cosa serve un hashtag se qualsiasi media se ne frega della sacralità della lettura?

Noi italiani leggiamo poco: pochi libri, pochi giornali, poco di tutto. E se leggiamo, spesso leggiamo male. Tuttavia oggi il problema principale non è tanto chi non legge, ma piuttosto chi scrive. Perché tutti scrivono, senza distinzioni di sorta.

Nessuno ha più il pudore di non dirsi scrittore. Nessuno rispetta l'alto mestiere dello scrivere romanzi, racconti, poesie. Chiunque, chiamato in causa da case editrici volte alla sopravvivenza e bisognose di denaro, accetta di "mettersi in gioco", di imbastire un titolo, di scrivere 100 pagine ispirate alla propria vita, per poi dichiararsi fiero della faticaccia. Nessuno si tira indietro. Nessuno (o almeno nessuno di coloro che dovrebbero invece farlo) arriva a non considerarsi all'altezza. Nessuno viene nemmeno sfiorato dal pensiero di non essere in grado di scrivere bene, nessuno ha il buon gusto di paragonarsi non dico ai mostri sacri della letteratura, ma almeno ai tanti, bravi scrittori che pure ci sono, decidendo sensatamente di chiamarsi fuori dai giochi. 

Allora come si può celebrare il libro se non è più nemmeno onorato e rispettato da chi ne è l'autore? Se gli scarsi autori di oggi (personaggi mediatici che non hanno dimestichezza neppure con la grammatica di base) avessero letto, avessero letto tanto e bene, sceglierebbero il silenzio. Un passo indietro varrebbe più di tante parole. 

Come si può godere del trovarsi su uno scaffale al fianco di Kundera, Roth, la Munro, la Yourcenar, Bassani, Fenoglio, Pavese perché si è 'scritto un romanzo autobiografico' , senza vergognarsi un po'? Senza pensare 'torno a fare quello che so fare' (conduttore, presentatrice, giornalista, speaker radiofonica, opinionista, starlette)? Come si può non avere l'accortezza di tacere? Di lasciare penne e tastiere del computer a chi davvero può scrivere qualcosa di pregnante, fondamentale, interessante? Come si può essere convinti di avere - sempre e comunque - qualcosa da dire e di essere capaci di dirlo bene?

Il problema, in gran parte, è qui.

Iniziamo a ridefinire il concetto di bel romanzo, poesia ben scritta, lavoro interessante. Torniamo a rispettare la sacralità e l'alto valore del mestiere dello scrivere, che è mestiere per pochi (nonostante blog, twitter &co. ci diano l'impressione opposta). Aiutiamo gli insegnanti, quando cercano di trasmettere ai nostri figli la cultura. Recuperiamo le nostre splendide radici, greche e latine. Annusiamo le buone parole. E dimentichiamoci il resto. 

#iononleggoperché

          

             

 

  

 

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