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Giornalismo | Il violento mestiere di scrivere

Recensione al libro di Rodolfo Walsh ripubblicato dalla casa editrice La Nuova Frontiera nel 2016 con la prefazione di Alessandro Leogrande

Il violento mestiere di scrivere, di Rodolfo Walsh, è un testo che ogni buon giornalista dovrebbe avere sempre tra le mani. Per Walsh, ha scritto Alessandro Leogrande nella prefazione, <<il violento mestiere di scrivere è sempre coinciso con la capacità di dire immediatamente ciò che si vuole dire, e nel modo migliore>>. La scelta della casa editrice La Nuova Frontiera, che nel 2016 lo ha riproposto, assume un particolare valore ed è ancora oggi attuale nell’Argentina macrista, attraversata da una vera e propria guerra dichiarata dalla Casa Rosada nei confronti dell’informazione indipendente, oltre che contro le organizzazioni sociali.

Il giornalismo d’inchiesta di Walsh ha il merito di raccontare l’Argentina precedente all’avvento del triumvirato Videla-Massera-Agosti, che prese il potere con il colpo di stato del 24 marzo 1976, ed è grazie ai suoi reportage che si scopre come le tecniche del rapimento, delle torture e delle sparizioni siano ben precedenti al regime militare. Nei venti anni di storia argentina e latinoamericana, che vanno dal 1957 al 1977, l’anno in cui fu sequestrato e ucciso da una patota, una delle pattuglie di torturatori guidata da Alfredo Astiz, l’”angelo biondo” infiltratosi tra le Madres de la Plaza de Mayo, Walsh descrive la natura totalitaria dei governi precedenti alla dittatura, ma firma anche reportage sulla rivoluzione cubana ed uno particolarmente coinvolgente, La isla de los resuscitados. In quell’occasione, siamo nel 1966, Rodolfo trascorse una settimana con i lebbrosi dell’Isola del Cerrito per scrivere un lungo articolo su quella che si era trasformata in una vera e propria avventura umana, come del resto lo era stata quella del suo connazionale Ernesto Guevara, quando aveva lavorato come medico per curare i malati di lebbra insieme ad Alberto Granado durante il loro viaggio per il continente latinoamericano avvenuto molti anni prima.

Nelle inchieste di Rodolfo Walsh emerge molto spesso la brutalità della polizia, anche questo un tratto che caratterizza l’Argentina odierna. Nella trilogia La banda della picana, che prende il nome dal sistema di tortura basato sulle scosse elettriche di cui poi faranno ampio uso anche gli uomini del regime, se ne evidenzia l’utilizzo per “risolvere” i delitti o annichilire il movimento operaio, mentre nel reportage La banda dal grilletto facile, che risale al 1968, si parla delle responsabilità dell’allora commissario Miguel Etchecolatz nell’uccisione di presunti delinquenti. Etchecolatz non è un nome qualsiasi, ma il torturatore di Julio López, l’uomo sopravvissuto alla dittatura militare, ma il primo desaparecido dal ritorno della democrazia nel paese: è scomparso nel nulla pochi giorni prima di tornare in tribunale per deporre proprio contro il suo carnefice.

Come ha evidenziato Leogrande, sempre nella prefazione, <<il confronto con la Storia e i suoi personaggi si alterna costantemente alla narrazione di storie minute, o meglio di controstorie, spesso pescate negli anfratti della società argentina>>. Purtroppo sarà proprio la storia a presentare il conto a Walsh, rapito da uno squadrone della morte il giorno dopo aver scritto la Lettera aperta di uno scrittore alla Giunta militare, un vero e proprio atto d’accusa contro la dittatura ad un anno esatto dal golpe. Il giornalista metteva in rilievo la natura repressiva del regime, a partire dai tentativi di mettere a tacere le forme di protesta collettiva e dal congelamento dei salari a colpi di fucile: inquietanti analogie con l’Argentina di oggi.

Il violento mestiere di scrivere

di Rodolfo Walsh (prefazione di Alessandro Leogrande)

La Nuova Frontiera, 2016

Pagg. 214

€ 12,50

Questo articolo è stato pubblicato qui

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