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Giappone: 82enne, nel braccio della morte da oltre 40 anni. Nuovo processo negato, nonostante le prove

Hakamada Iwao fu condannato a morte mezzo secolo fa, nel 1968. Dopo 20 giorni consecutivi d’interrogatori da parte della polizia, “confessò” di aver ucciso il suo datore di lavoro e i familiari di quest’ultimo. Già nel corso del primo processo, ritrattò accusando la polizia di averlo picchiato e minacciato affinché si auto-incriminasse.

In isolamento nel braccio della morte, Hakamada Iwao cominciò ben presto a manifestare segni di squilibrio mentale e comportamentale. Continuò a scrivere lettere senza senso fino all’agosto 1991, poi smise. Nel 1994 decise di non ricevere più visite della sorella e cambiò idea solo nel 2006. Nel 2007 gli fu diagnosticata l’infermità mentale.

Nel 2014, rispondendo a un appello presentato sei anni prima e basandosi su oltre 600 singoli elementi di prova, tra cui test del Dna in precedenza non disponibili, un tribunale distrettuale garantì ad Hakamada Iwao un nuovo processo.

L’Alta corte di Tokio ha deciso che a quel nuovo processo che avrebbe potuto finalmente dimostrare la sua innocenza Hakamada Iwao non ha diritto.

Se verrà rimandato nel braccio della morte, il governo del Giappone si renderà responsabile di un atto di una crudeltà senza precedenti nella storia moderna della pena capitale.

La vita e la vicenda giudiziaria di Hakamada Iwao sono raccontate in uno straordinario docu-film, “Box – The Hakamada case”, presentato alla Festa del cinema di Roma nel 2010.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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