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 Home page > Tribuna Libera > Giacomini e il Potere Digitale e politico dei media

Giacomini e il Potere Digitale e politico dei media

“Potere digitale” è un saggio molto approfondito sull’evoluzione della democrazia in Occidente (www.gabrielegiacomini.it, Meltemi, 321 pagine, euro 24, 2018; prefazione di Michele Sorice, docente di Innovazione Democratica della LUISS “Guido Carli” di Roma).

Giacomini è un giovane studioso friulano che si è documentato seguendo una bibliografia davvero invidiabile. Dal suo saggio emerge che in Italia nel 2014 i mezzi tradizionali rivestivano “ancora un ruolo prioritario ai fini informativi (al primo posto fra i mezzi utilizzati per informarsi troviamo la televisione che copre l’83% delle persone e al secondo posto i quotidiani prescelti dal 45% degli individui), Internet sta assumendo progressivamente maggiore rilievo, e attualmente viene utilizzato per informarsi dal 42% degli italiani. Si conferma quindi il dato secondo cui la rete è uno strumento di informazione che ormai compete con i giornali nazionali” (indagine Agcom 2014, p. 32). Però le copie dei giornali vendute negli ultimi dieci anni si sono quasi dimezzate.

Quindi serve una premessa: “Nell’era contemporanea, la capacità degli organi di informazione di orientare l’opinione pubblica è stata definita “quarto potere”. Con questo concetto si sottolinea il fatto che ai tre poteri dello stato – legislativo, esecutivo e giudiziario – se ne affianca un quarto esterno, quello della stampa, delle televisioni e dei media in generale, che controlla l’operato dei politici, dei magistrati e delle istituzioni democratiche, influenzando i giudizi, le decisioni e i comportamenti dei cittadini” (p. 91). I media catturano e catalizzano l’attenzione dei cittadini, ma “Cambia il senso della posizione nella comunicazione e gli individui agiscono sia come consumatori di informazioni sia come produttori e diffusori, seguendo logiche di tipo interpersonali” (p. 97).

La crisi dei partiti ha preceduto la diffusione dei media digitali. Il web aiuta le nuove formazioni politiche a creare le identità, la comunità e le relazioni, a raccogliere fondi e a fare le mobilitazioni. Quindi “si riconfigurano le relazioni tra gli attori e si ridefiniscono gli equilibri di potere: i politici possono veicolare le proprie posizioni e visioni bypassando eventuali intromissioni o censure da parte del sistema giornalistico; il potere di determinare l’agenda dei temi si svincola dal controllo di soli giornalisti e politici di professione per aprirsi anche a nuovi ed altri soggetti” (p. 33).

In ogni caso la questione centrale rimane sempre questa: “Dewey ha negato ogni possibilità di “insider” privi di valori, disinteressati. Piuttosto, egli ha visto due possibili tipologie di dipendenza e interesse: o essere un mezzo nelle mani del capitale, o essere affiliati alle masse aiutandole a partecipare al potere. La robotizzazione del giornalismo [e della comunicazione in generale] ha aggravato questo dilemma poiché le decisioni prese dalle macchine negli “intelligence bureau” sembrano essere indipendenti dagli interessi umani e quindi non soggettive, parziali o con pregiudizi, mentre in realtà è sempre un “intelligence bureau” umano a predefinire gli algoritmi e a dare inizio al machine learning” (p. 56). Il potere di selezione di Google è umanamente pilotato.

 

Inoltre la velocizzazione mediatica rischia di incentivare i comunicatori a semplificare il messaggio, facendo anche ricorso ad immagini piuttosto che a ragionamenti. Ma si tratta, in realtà, di una dinamica storicamente non nuova (Sorice, p. 57). In Italia i politici non seguono la logica delle discussioni aperte e si appiattiscono e si accontentano dell’effetto della vetrina mediatica televisiva (Sorice, p. 73). Siamo diventati “Homo Videns: subiamo una grande esposizione alle immagini e non siamo più in grado di elaborare ragionamenti” (Sartori, citato a p. 58).

 

Comunque senza una cultura radicata e senza un pensiero educato col dialogo non si possono prendere delle decisioni politiche razionali sulle realtà fondamentali. Forse con gli strumenti digitali sarebbe meglio prendere solo decisioni elementari come quelle relative al traffico (Gianfranco Pasquino, intervista, p. 287). Quindi oggi siamo arrivati alla fine del potere di intermediazione dei giornalisti, all’autonomia relativa di politici e cittadini, con nuovi partiti personalizzati senza veri programmi politici, quindi fortemente legati alla figura di un leader (Pasquino). Secondo Paolo Mancini nel web la partecipazione politica al tempo stesso si rafforza in diffusione e si indebolisce in intensità (p. 76). Purtroppo una partecipazione politica superficiale può sottovalutare l’importanza della competenza. Forse anche la democrazia digitalizzata “ha sempre bisogno di élites” (Angelo Panebianco, intervista a p. 283).

Esiste una ridistribuzione del potere, ma la logica individualista deprime le potenzialità di aggregazione sociale e anche delle contestazioni di massa. Il populismo è diventato un fenomeno convulso e indefinibile. Alla fine dei conti si tratta di un termine troppo generico che può significare quasi tutto, con risvolti negativi o positivi a seconda dei casi e dei vantaggi politici diretti e indiretti. In molti casi il populismo rappresenta una forma di rivolta contro le élite (Panebianco, intervista). Giunti “a questo punto si rischia di entrare in quella che i padri fondatori della costituzione americana chiamavano la dittatura della maggioranza. Chi vince prende tutto ed entriamo in un contesto di polarizzazione” (Luciano Floridi, p. 81). Alcuni studi dimostrano che i metodi partecipativi funzionano se vengono razionalizzati e istituzionalizzati (Sorice, p. 86).

 

Il web dinamico più o meno interattivo di Twitter funziona bene per élites, politici, giornalisti e addetti ai lavori. Facebook è ideale soprattutto per i cittadini (Mazzoleni, p. 43). E si è formato un sistema ibrido di influenza tra tv e digitale: “dobbiamo anche tener conto del fatto che ciò che viene trasmesso dalla televisione nasce, si sviluppa e si alimenta in altri contesti, come ad esempio quelli dei social” (Sara Bentivegna, p. 44). Tuttavia “Il web, secondo questo tipo di pensatori, serve non ad espandere la nostra conoscenza ma a chiudere la nostra mente dentro nicchie identitarie” (Nadia Urbinati, intervista, p. 318). Questo fenomeno avviene in quasi tutte le situazioni comunicative, soprattutto per la stampa e la vita personale di ognuno di noi (si evitano molti quotidiani e moltissime persone). Invece in Tv e nelle discussioni parlamentari in teoria si è costretti ad ascoltare anche il punto di vista degli oppositori. Ma proporre il punto di vista di parti terze o quarte più obiettive e aderenti ai fatti è una cosa difficile da fare anche nelle università.

 

Le forme di neointermediazione e disintermediazione digitali possono rispettare un modello dialogico di democrazia, ma faranno sempre riferimento a persone reali con la razionalità più o meno limitata, e con i bisogni e le priorità variabili a seconda dell’età individuale e del momento economico e storico. Inoltre servirebbero delle chiare e serie proposte politiche in ogni nazione. In sintesi Giacomini è stato molto illuminante, ma forse sarebbe più utile un saggio che analizzasse la finanziarizzazione impalpabile del potere. Nel Terzo Millennio il potere del denaro è ancora il vero potere più o meno centralizzato delle banche, delle grandi multinazionali, dei grandi miliardari.

 

Gabriele Giacomini, dottore di ricerca in Filosofia dottore di ricerca in Filosofia e scienze della mente all’Università San Ra­ffaele di Milano e allo IUSS di Pavia, è attualmente assegnista di ricerca in Sociologia della comunicazione e della cultura all’Università di Udine. È membro del Laboratorio di Ricerca per i Nuovi Media dell’Università di Udine e del Centro Studi di Etica e Politica dell’Università San Raffaele di Milano. Collabora con la Fondazione “Giannino Bassetti” di Milano: e interviste. Per approfondimenti video: www.youtube.com/watch?v=uvhcjD0jpWA (Festival della Politica, Mestre, 2017), www.youtube.com/watch?v=QDTFp-MGA-U (www.friulifutureforum.com, Udine).

 

Nota – In appendice ci sono le interviste a Sara Bentivegna (Università La Sapienza di Roma), Ilvo Diamanti (Università di Urbino, http://www.demos.it/diamanti.php), Paolo Mancini (Università di Perugia), Luciano Floridi (Università di Oxford, www.philosophyofinformation.net), Gianpietro Mazzoleni (Università di Milano), Angelo Panebianco (Università di Bologna), Gianfranco Pasquino (professore emerito, Università di Bologna, https://gianfrancopasquino.com), Nadia Urbinati (Columbia University di New York), Michele Sorice (http://docenti.luiss.it/sorice/chi-sono), ecc.

 

Nota sul populismo – “Quando ci troviamo di fronte a discorsi e a soggetti di successo se ci piacciono sono popolari, se non ci piacciono sono populisti” (Jean Leca, filosofo francese, citato da Ilvo Diamanti a p. 247).

Nota incredibile – Oggi il grado di fiducia nei partiti si aggira intorno al 5 per cento, “poco sopra il margine dell’errore statistico. Teoricamente ad avere fiducia potrebbe anche non essere quasi nessuno, perché il margine dell’errore statistico delle indagini è solitamente intorno al 3%. In Italia il grado di fiducia nei confronti dei partiti non è mai stato molto alto, non è mai stato troppo elevato perché l’antipolitica non è un’invenzione recente. Affonda le radici nella storia di questo paese, di questa società che ha sempre consumato il rapporto con lo stato e con la politica in termini di distacco. Oggi la fiducia è su livelli che più bassi di così non si può (Ilvo Diamanti, intervista del 31 marzo 2017, p. 246).

Nota sulla comunicazione professionale – “Gli esperti di marketing digitale e le aziende di comunicazione hanno una capacità sostantiva di influenzare l’utilizzo di Internet da parte degli utenti. Si pensi all’astroturfing, che consiste nella creazione a tavolino del consenso proveniente dal basso (affidandosi spesso a persone retribuite che producono e diffondono commenti positivi) circa dichiarazioni o atti politici. Una nuova modalità di intermediazione può essere concretizzata anche attraverso l’uso dei cosiddetti meme. Un meme è un’idea, uno stile o un’azione che si propaga attraverso Internet, spesso per imitazione, diventando improvvisamente celebre” (p. 99). Un meme può essere prodotto dalle persone comuni, da quelli famose, oppure nella maggioranza dei casi da alcune agenzie specializzate.

Nota sulla partecipazione – “In Islanda la bozza di costituzione elaborata con un processo partecipativo e utilizzando strumenti digitali, infatti, doveva essere approvato dal parlamento, ma i cittadini hanno poi finito per esprimere una maggioranza parlamentare contraria al progetto” (Antonucci 2013, citato a p. 193). Altri sistemi simili alle petizioni sono stati usati dalla Finlandia, Lettonia, Svezia, Germania, Spagna e Regno Unito (p. 194). In Italia non si è fatto quasi niente. Volete un esempio? Per selezionare “Luigi Di Maio, futuro vicepresidente della Camera e candidato Premier alle elezioni del 2018, sono bastate 189 preferenze” (Vignati in Corbetta 2017, nota a p. 203). L’abilità sta tutta nel saper gestire la propria cerchia amicale e qualche conoscente riconoscente. Inoltre il voto elettronico è sempre insicuro e molto a rischio di influenze esterne (teorema di Rice, p. 205). Quindi “in conclusione, gli individui − oltre ad essere cittadini − compiono numerosissime attività quotidiane: lavorano, badano alla famiglia, si istruiscono, praticano sport eccetera” (p. 213). A volte riescono a trovare il tempo per pensare alla politica, e a volte riescono pure a trovare il tempo per divertirsi, nonostante le cattive influenze politiche.

Nota finale – Il più grande genio della comunicazione di massa è stato Marshall McLuhan. Potete trovare alcune importanti riflessioni qui: www.agoravox.it/McLuhan-la-spettacolarizzazione.html.

Appendice sullo scontro tra la Spagna e la Catalogna - www.youtube.com/watch?v=TvIf8xM_Vcw (Limes Club Bologna, gennaio 2018, a cura di Evelyn Amaral Garcia e di Niccolò Locatelli).

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