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Gepin Contact: il raggiro dell’applicazione della clausola sociale

Il 5 settembre, Ministero dello Sviluppo Economico e sindacati hanno dato notizia dell’accordo stipulato tra organizzazioni sindacali, aziende e governo, che sembra chiudere definitivamente la lunga e travagliata vertenza dei lavoratori e delle lavoratrici dell’ormai ex-Gepin Contact.

L’azienda, persa la commessa di Poste Italiane per l'erogazione di servizi di Customer service, aveva deciso di procedere al licenziamento di tutti i dipendenti, gettando così nel baratro centinaia di famiglie, tra Roma e Casavatore (NA). Dopo la mobilitazione dei lavoratori, si era giunti ad un risultato importante: le nuove aziende subentrate nell’appalto (E-Care S.p.A., Abramo Customer Care S.p.A. e 3G S.p.A.) si impegnavano alla riassunzione di tutto il personale precedentemente impiegato dalla Gepin, tramite l’applicazione della clausola sociale. M

a, dall’estate, hanno cominciato a rincorrersi le voci che volevano le nuove aziende desiderose di disfarsi di un bel po’ di lavoratori o, comunque, di dare un taglio netto al costo della forza lavoro. Il documento portato al tavolo delle trattative il 3 agosto scorso al MISE, e successivamente firmato dalle sigle sindacali, risponde chiaramente alle esigenze delle su menzionate aziende di effettuare tale taglio. Si riduce innanzitutto il salario, vengono eliminati tutti gli scatti di anzianità e, soprattutto, rimane ancora incerta l’applicazione dell'articolo 18. Quest’ultimo punto rientrerebbe – a quanto pare – in un accordo verbale tra le parti. “Verba volant, scripta manent” però, per cui la fiducia dei lavoratori, visto anche il clima generale ed il continuo tira e molla delle aziende subentranti, non è altissima. Il documento, firmato da tutte le sigle sindacali (CISL, UIL e UGL) eccetto la SLC CGIL, che si è rifiutata, comporta un clamoroso passo indietro rispetto a quelle che erano le legittime richieste dei lavoratori. Richieste che sono state urlate per mesi nei molteplici scioperi, nelle manifestazioni e nelle assemblee che hanno visto la partecipazione di centinaia di operatori del call center, determinati a difendere il proprio posto di lavoro, a non veder peggiorare le condizioni di lavoro e ad ottenere l’applicazione di una clausola sociale che permettesse il rispetto in toto della situazione precedente, già non idilliaca. Nulla di eccezionale dunque, se non il mantenimento delle condizioni pregresse.

Invece, con l’accordo, da un lato si mantengono i posti di lavoro, dall’altro, come in un film già visto (vedi Almaviva e non solo), si peggiorano le già difficili e precarie condizioni di lavoro – e quindi di vita – di tante famiglie. Se i lavoratori ci perdono, le aziende subentranti possono invece garantirsi tassi di profitto che rendono remunerativo l’appalto delle Poste Italiane. La notizia dell’accordo non ha lasciato indifferenti i lavoratori, né tanto meno, sono state molte le grida di giubilo. I lavoratori e le lavoratrici hanno infatti immediatamente contestato l’esito finale delle trattative, dando sfogo alle proprie frustrazioni e ai propri timori soprattutto sui social network. Per di più, si ritrovano al momento senza una sponda sindacale affidabile, considerato che il loro malcontento non è condiviso dai sindacati firmatari, che non sono riusciti a tutelare gli interessi che i lavoratori stessi avevano espresso in questi ultimi mesi. L’accordo è tra l’altro immediatamente operativo, dal momento che le sigle sindacali non hanno organizzato alcun referendum. I lavoratori non avranno dunque alcun canale ufficiale per poter esprimere la loro opinione sull’intesa che ridisegna il loro futuro. Qualcuno ha paventato l’ipotesi che il referendum con cui nel maggio scorso la stragrande maggioranza dei lavoratori Almaviva aveva bocciato l’accordo siglato da sindacati, impresa e governo, sia stato lo spauracchio che ha spinto i sindacati a non lasciar spazio all’espressione democratica dei dipendenti ex Gepin.

A maggior ragione, la vertenza Gepin rischia di creare un precedente estremamente pericoloso in un settore in cui sempre più spesso si assiste ad aziende pronte a dichiarare esuberi sperando nell’intervento del governo così da ricevere una “doccia” rigenerante di soldi pubblici. Già si parla di “accordo modello” per la risoluzione di controversie simili e sarebbe un modello tutt’altro che positivo. La pericolosità di un tale precedente, va però oltre il settore. La lotta per l’applicazione della clausola sociale è infatti patrimonio di molte lotte, in settori disparati. Farla diventare l’occasione della mera continuità lavorativa, al prezzo però di un peggioramento drastico delle condizioni in cui si opera, costituirebbe un ulteriore passo indietro e nessuna e nessuno di noi potrebbe gioirne.

Di seguito pubblichiamo il racconto di uno dei lavoratori protagonisti di questa vicenda. Uno di quelli che non si è dato per vinto, che, malgrado i colpi ricevuti, spesso anche alle spalle, è ancora in piedi e non ha smesso di lottare. Con lui e con tutte le lavoratrici ed i lavoratori che non si arrendono c’è un terreno solido su cui poter costruire, malgrado le sconfitte…

“C’era una volta, in un tempo lontano, un’azienda comandata da gente di malaffare; ma questa azienda aveva un grande tesoro: i suoi lavoratori. Tra di loro c’era un gruppo di intrepidi che combattevano ogni giorno per i lavoratori.

Un giorno questo impavidi decisero di rivolgersi, per essere aiutati nelle lotte, a dei gruppi chiamati “Sindacati".

Questi fecero promesse di sconfiggere il padrone di malaffare e portare tutti in salvo.

I poveri lavoratori credettero loro e ogni giorno tra le persone questi "Sindacati "parlavano della difesa dei diritti e delle tutele.

Molti, moltissimi si iscrissero, fiduciosi e speranzosi in un domani che stava sbiadendo...

Un brutto giorno, però, gli impavidi lavoratori che capeggiavano tutti cominciarono a vedere cose strane in quei "Sindacati".

Si ribellarono subito con tutte le forze, ma furono esiliati, altri ricattati, ad altri furono tagliate – metaforicamente – le lingue; purtroppo alcuni si vendettero e lì inizio la rovina.

I Sindacati dettarono legge e firmarono accordi, vendendoli come la "terra promessa".

Accordi che svilivano la dignità del lavoratore stesso.

Sfortunatamente stavolta non c’è il lieto fine, perché i LAVORATORI non sanno ancora cosa accadrà e se un futuro ci sarà; ora vivono schiavi di altri padroni, più vili e subdoli, che hanno carpito con l’inganno la loro fiducia, approfittando della loro disperazione.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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