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Genova, crollo del Ponte Morandi: dalla tragedia, agli imputati. Sfogliare le carte prima di seguire una corrente, sarebbe sempre opportuno

Alle notizie che continuano a susseguirsi sul drammatico evento che ha demolito il ponte di Genova, coraggiosamente paragonato a quello di Brooklyn, un’architettura di certo ambiziosa per gli anni in cui fu costruita, cercherò magari senza raggiungere il risultato auspicato, di prendere in esame parti non citate in causa, per onor del vero, non segretate da alcun potere statale e facilmente reperibili online. 

 

Di certo tutto questo non restituirà le 43 vittime alle loro famiglie, ma una lettura mena faziosa potrebbe portare alla luce una verità priva di padroni, neutrale e forse proprio per questo più autentica. 

Prima di pronunciare la parola giustizia e di puntare il dito a casaccio, bisognerebbe imparare a distinguere il vero dall’inverosimile, perché è soltanto in questo modo che arriverà il momento in cui, mi auguro non regolato da una clessidra all’italiana, ognuno dovrà servirsi la sua fetta di colpevolezza. 

Oggi per una costruzione così imponente la scelta non sarebbe ricaduta sul cemento armato, che come dicono gli esperti di settore, si sta degradando in maniera molto rapida in ogni infrastruttura sparsa per il mondo, ma occorre però ricordare che ai tempi in cui l’opera fu eseguita, le conoscenze erano ben altre, e la fiducia nella resistenza di questo materiale era alta. 

La nostra società, sempre più “ingombrante”, ha visto inoltre un netto incremento nella percorrenza delle strade, ed un sovrabbondare dei mezzi pesanti, fattore che ha prodotto un cospicuo dispendio delle cifre investite negli anni, per la gestione e manutenzione da parte di Stato e gestori stradali. 

La colpa più grande dell’Italia pigra, a cui piace affabularsi e affabulare, ed a cui non mancano di certo le grandi menti di ingegneri e architetti Made in Italy, è quella di tardare, rimandare, congelare, lasciare incompiute le grandi opere pubbliche, finendo con lo sperperare ingenti somme per la manutenzione di quelle in essere, che spesso si rivelano inadeguate o del tutto assenti, ed incoerenti con quelli che sono i bisogni della società odierna. 

Visto che poi si è parlato di nazionalizzazione, parliamo anche di “privatizzazione”, la cui storia nel nostro paese troppo spesso viene dimenticata. 

E’ da 30 anni che conviviamo con il fardello del debito pubblico, e prima di aprirci a nuove/vecchie strade, sarebbe il caso di fare un salto indietro nel passato per ricordarci dello stato in cui verteva Società Autostrade Concessioni e Costruzioni S.p.A., gestita dall’Iri. Per schiarirci di più le idee basterebbe percorrere le strade gestite da Anas o peggio ancora da Regioni, Province e Comuni per capire come il nostro bel paese non sia di certo un campione in fatto di manutenzione ed investimenti stradali. L’Italia incassò per Autostrade tra il 1999 ed il 2000, la bellezza di 13mila miliari di lire, che al cambio e con rivalutazione attuale sono circa 9,5 miliardi di euro, una cifra, è bene sottolinearlo, con la quale ai privati non furono cedute le infrastrutture, che sono ancora dello Stato, ma fu “comprata” da questi la concessione per 30 anni (più eventuali proroghe) per la gestione in esclusiva, di determinati tratti stradali, potendo usufruire del ricavo dato dai pedaggi. L’accordo prevedeva inoltre che i privati si facessero carico oltre che della manutenzione ordinaria anche degli investimenti per l’ampliamento della rete che ad esempio per Società Autostrade ammontavano a 15,6 miliardi di euro da convenzione 1997 più atto aggiuntivo del 2002, e altri 7 miliardi dopo convenzione unica del 2007. 

Facendo due conti lo stato incasserà per tale concessione tra liquidità ed opere pubbliche un importo totale di 32 miliardi di euro di cui circa il 60% ad oggi già “intascato”, a cui vanno aggiunti circa 1 miliardo annuo (anno 2017) tra tasse e concessioni che società Autostrade da al medesimo. 

Un aspetto da non trascurare è la scelta dell’imprenditore privato a cui dare in gestione i beni statali, un’operazione che ha avuto similitudini anche nelle privatizzazioni di altri paesi del sud Europa. La politica decise infatti di non rivolgersi al mercato, come sarebbe stato logico e conveniente, ma di preservare una sorta di tutela dell’italianità delle imprese statali (come se un’autostrada, un ponte e similari, potessero essere scippate da un’impresa estera), e proprio per questo vennero sondati tutti gli imprenditori dei salotti buoni dell’economia nazionale. Non si trattò quindi di vere privatizzazioni aperte e di mercato ma piuttosto della solita commistione tra imprenditoria familistica, basata sulla “conoscenza” e non sul valore, politica (all’epoca tutti uniti in questa visione protezionistica esclusi forse i Radicali) e banche (le uniche a guadagnare in maniera inequivocabile da queste situazioni). 

Lo Stato quindi ha incassato (ed incasserà) una bella cifra da queste privatizzazioni, ma meno di quanti avrebbe dovuto e potuto, e questo non (solo) a causa dell’avidità dei privati come Benetton (che detiene il 30% delle controllante di Autostrade), ma anche per quella scellerata operazione politica ed economica protezionista fatta in passato, adottata anche dagli ultimi governi (compreso l’attuale). 

Oltre a decretare quindi la non responsabilità del mercato in questa drammatica vicenda vanno adesso visti i numeri inequivocabili che smentiscono le avventurose tesi circa un’eventuale proficua statalizzazione delle strade italiche. Va per prima cosa ricordato che lo Stato già gestiste direttamente tramite Anas un gran numero di strade (anche a pedaggio con le sue partecipate) nella nostra penisola. Confrontando quindi i Bilanci 2016 di Anas e quelli 2017 di Società Autostrade, possiamo ben capire di cosa parliamo. Anas gestisce 26 mila km di strade, mentre Società Autostrade 3 mila. Anas ha investito 221 milioni di euro in manutenzioni quindi (8,5 mila euro al km gestito), Società Autostrade invece 312 milioni (104 mila euro al km gestito); per quanto riguarda i nuovi investimenti Anas 838 milioni (32 mila euro al km gestito), Autostrade 556 milioni (185 mila euro al km gestito). Potremmo continuare così per ore analizzando gli operai impiegati, il tempo per la realizzazione di un intervento manutentivo o di una nuova opera, e il risultato sarebbe sempre il medesimo e favorevole in maniera imbarazzante all’ operato di Società Autostrade per l’Italia. 

Questi dati dimostrano come siano impossibili confronti con la Germania che concede la gratuità per le automobili, oppure la Svizzera, autostrade pubbliche, gestite da enti pubblici, in quanto basterebbe partire da una considerazione abbastanza semplice che non necessita di chissà quali molteplici e svianti interpretazioni, per capire che parliamo di paesi ricchi e non indebitati, in grado, e lo hanno dimostrato, di saper gestire egregiamente la cosa pubblica in ogni suo aspetto. 

Oggi siamo pronti per una nazionalizzazione? Affidare il tutto ad un’altra società o ente sarebbe risolutivo? Tirando la maglia da un lato si accorcerebbe dall’altro, un’eventualità preoccupante per uno Stato che in quanto a somme da investire in questo o quell’altro, soprattutto rispetto alle promesse fatte nelle elezioni più recenti, ed all’operato e sperpero che negli anni è stato portato avanti, appare un’opzione un po’ fantasiosa. Possiamo asserire dinanzi ad affermazioni propositive su questo fronte, certe del fatto, che ricavi diretti nelle mani dello Stato, possano rivelarsi più affidabili? Sta di fatto che si attende sempre l’infausto evento prima di intervenire per il passaggio del feudo; nessuno se lo litiga a priori, ma tutti sono pronti ad accogliere gli applausi. 

La rincorsa al colpevole ci rende schiavi di un sistema che basandosi sull’emotività crea il caso senza avvalorarsi di prove, ma soltanto di ipotesi che le carte al momento non confermano. E’ abbastanza ipocrita tutto questo e non renderà a mio parere giustizia alle vittime. Di certo è molto più facile seguire una corrente apparentemente ben definita, che spesso si rivela uno specchio per le allodole, tipico dell’atteggiamento all’italiana, amplificato dall’agorà dei nostri tempi, i social, quella piazza in cui come oramai noto, il tifo avventato genera sempre facili giustizialismi, ed è così che in un battibaleno, ci trasformiamo tutti in abili superman che sparano a colpi di mouse. 

I media in tutto questo sanno bene quel vogliamo sentirci dire, solo che poi arriva il momento del faccia a faccia con la verità tangibile. 

Società Autostrade ha investito per la manutenzione del ponte cifre superiori al costo complessivo speso per la realizzazione dell’opera. E’ importante inoltre sottolineare che ogni intervento è stato sempre condiviso con Stato, enti locali e società indipendenti, e nessuno di questi aveva previsto, la possibilità di un crollo imminente o prossimo. 

Nel 2003, 15 anni fa, Società Autostrade propose un progetto per affiancare in un primo momento e poi sostituire, il ponte (opera statale), che presentava problemi originari, del valore di 1 miliardo di euro, che la società avrebbe pagato di tasca propria in cambio della proroga per la tratta in gestione. 

Questi lavori però avrebbero per 24-36 mesi generato pesanti problemi nel traffico veicolare, soprattutto per quello relativo al trasporto merci, e fu così che tutti gli enti pubblici, comune di Genova in primis, scelsero di rimandare un progetto che secondo i loro calcoli, avrebbe creato danni economici soprattutto nella zona portuale. 

La vicenda è andata avanti negli anni, tra rimpalli, assemblee, comizi, tifo e conferenze di servizio all’interno delle quali si espressero anche i cittadini stessi. 

A settembre del 2017 è stato poi approvato un progetto complessivo, la Gronda, inclusivo non soltanto del ponte, ma anche di tutta la viabilità di Genova, per un importo di circa 5 miliardi di euro. 

Un accordo in cui si parlava di un aumento della concessione di 4 anni ad Autostrade per l’Italia ed aumenti del tariffario dello 0,5%, con costi zero per lo Stato, e ad esclusione di alcuni gruppi locali e del M5S contrari, l’iniziativa trovò l’appoggio anche dell’UE. Ma proprio il fatto che l’intervento della sostituzione del ponte del 2003, fu scalzato da un progetto più grande e complesso, starebbe a sottolineare, in maniera implicita, che nessuno, Azienda, Ministero, Enti Locali, avesse riscontrato la minima possibilità del crollo del ponte Morandi. 

Sulla prevedibilità o meno del crollo, le ultime notizie parlano di come studi, perizie e pareri terzi abbiano a Febbraio 2018 certificato una perdita nella regolare funzionalità della struttura del 20%, e della necessità pertanto di interventi, messi a gara dalla Società Autostrade, che sarebbero dovuti partire ad inizio 2019. 

Sul grado di urgenza di questi, si concentrerà l’intero processo penale, che stabilirà se c’è stato o meno dolo. Quello che da profani possiamo chiederci è quanti siano attualmente i ponti, cavalcavia, tunnel, che presentano un’usura del 20% in Italia. In tutto questo, lo Stato che, come per Genova, ha sempre avuto il diritto dovere di controllare gestori e infrastrutture, può stabilire un tasso massimo di deterioramento delle opere pubbliche, oltre il quale vanno chiuse, dismesse o sostituite? 

Nel frattempo l’auspicio è che le convenzioni in essere vengano almeno modificate, analizzando con dovizia tutte le esigenze delle strade ed infrastrutture italiane, aprendo finalmente il mercato alla concorrenza (vera ed internazionale), vincolando gli utili agli investimenti con soglie massime decise a priori, e concedendo gli aumenti ai caselli solamente dopo il termine delle nuove infrastrutture e degli investimenti, obbligando le verifiche sulle convenzioni a scadenza semestrali, ed applicando standard internazionali sui controlli di sicurezza decisi a monte che non siano derogabili da nessun ente. Che tutto questo processo sia pubblico ed accessibile. 

 

Commenti all'articolo

  • Di mau bi (---.---.---.178) 24 agosto 2018 08:16

    Perché nessuno à preso in considerazione che possa essere stata una bomba ?…..

  • Di mau bi (---.---.---.178) 24 agosto 2018 08:25

    Tutta la gente che era la vicino, intervistata poco dopo il crollo , à confermato di avere sentito un boato , poi il ponte che veniva giù.

  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.204) 24 agosto 2018 09:39
    Damiano Mazzotti

    Ottimo articolo. Il ponte andava sostituito. Ora farlo in acciaio sarebbe molto più rapido e semplice. Forse il vero problema è stato considerarlo un’opera d’arte e molti ne hanno approfittato per guadagnarci sopra con delle manutenzioni pericolose con un ponte molto complessio, molto vecchio e difficile da capire e sistemare nei cavi di bilanciamento dove bastano piccoli errori per far venir giù tutto.

    Inoltre su Youtube sembrano esserci dei filmati dove si vedeva qualcuno lavorarci la notte prima e stranamente le telecamere del ponte hanno dati digitali inesistenti.... almeno fino all’inizio del crollo dovrebbero essere stati inviati

  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.204) 24 agosto 2018 09:57
    Damiano Mazzotti

    Qualche notizia in più su www.pandoratv.it e www.luogocomune.net. Comunque secondo me l’enorme struttura molto invecchiata e indebolita e con il suo sistema di bilanciamento in cattive condizioni è stata giustiziata dall’enorme energia sprigionata dal fulmine come si vede in alcune immagini. Anche se molti esperti non sono d’accordo perchè su un ponte tradizionale non avrebbe avuto nessun effetto. Ma il Morandi non era un ponte tradizionale, ma un ponte basato sul bilanciamento e le innumerevoli microfratture piene di acqua dovuto all’eccesso di traffico rispetto agli anni sessanta hanno fatto il resto... l’energia elettrica purtroppo ha potuto infiltrarsi meglio...

  • Di Adessobasta (---.---.---.96) 25 agosto 2018 08:57

    Sono tutte illazioni. Lasciamo spazio all’inchiesta. Comunque complimenti per l’articolo, molto chiaro ed approfondito.

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